Clint Eastwood porta al cinema la vera storia di Richard Jewell che sventò l’attentato alle Olimpiadi di Atlanta, ma venne accusato di esserne il mandante.
Dal 16 gennaio nei cinema italiani arriva l’ultimo film di Clint Eastwood: Richard Jewell. Il celebre attore e regista ha scelto di adattare al grande schermo una forte storia di ingiustizia, ma anche il più clamoroso flop nella storia dell’FBI.
Il 27 luglio 1996 durante le Olimpiadi di Atlanta al Centennial Park, un ordigno terroristico esplode uccidendo una persona e ferendone altre 111. Avrebbe potuto causare un vero e proprio massacro. Fortunatamente pochi istanti prima, la guardia di sicurezza Richard Jewell si accorge del pericolo, avvisa le autorità e aiuta ad evacuare la zona. Questo intervento tempestivo è un miracolo, i media incoronano Jewell eroe di Atlanta.
Tuttavia gli investigatori dell’FBI non sono d’accordo. Ben presto egli diventa il sospettato numero uno dell’inchiesta. Anche i media a loro volta fanno in fretta a cambiare schieramento. Nonostante l’assenza di effettive prove e accuse da parte delle autorità comincia un vero e proprio processo pubblico. Ogni elemento personale e professionale viene analizzato nei programmi tv convincendo gli spettatori di essere di fronte all’unico possibile colpevole. La sua vita diventa un incubo, Richard Jewell diventa un mostro terrorista per tutto il paese.
Dopo 10 anni la verità…
L’agonia dell’uomo finisce solo 10 anni dopo, quando finalmente Eric Rudolph confessa di essere il vero responsabile. L’attentatore è colpevole non solo di dell’azione terroristica alle Olimpiadi del 1996 ma anche di altri episodi, ovvero bombe in cliniche abortiste ad Atlanta nel 1997 e in Alabama nel 1998. Il motivo di questi atti sono riconducibili alla sua adesione al credo cristiano e survivalista, che prevede azioni di guerriglia antiabortista, anticapitalista e antiomosessuale. In seguito alla sua condanna nel 2005 l’FBI ritrovò altri 113kg di dinamite nascosti, destinati probabilmente ad altri attentati.
Clint Eastwood riporta alla luce la storia di Richard Jewell come monito della potenza dei media nell’influenzare le masse. Un potere che oggi, nell’epoca di massima diffusione delle comunicazioni virtuali e immediate, è pericolosamente nelle mani di ognuno di noi.
Anna Barale