Con l’età cambiano le idee e cambiano le prospettive.
Ero piccola quando l’inverno mi sembrava eterno e l’estate non arrivava mai.
Il contare al rovescio era un’impresa titanica, nel momento in cui l’eternità sembrava non passare mai.
Cerchiamo sempre un tempo infinito, e quando lo abbiamo, finiamo per odiarlo.
Ma alla fine anche l’estate arrivava; come ogni cosa lontana e irraggiungibile, arriva.
Con i suoi colori, i suoni profumi, i suoi giochi di noi bambini che l’erba ci sembra insalata e il cielo, un grande cartoncino colorato.
Arrivava l’estate e noi ci sentivamo invincibili.
Invincibili di un tempo che ci apparteneva – che ci apparteneva e non poteva essere altrimenti – invincibili di un tempo che era nostro, in cui la vita aveva la possibilità d’essere.
Non più vittime di una sveglia crudele, e se poi era il caldo a svegliarci, a noi andava bene, se non avevamo suoni che dettavano i nostri momenti.
Arrivava l’estate e il tempo si diluiva in un bicchiere d’acqua; arrivavamo a dimenticare i giorni e le ore.
Esistevamo solo noi e la nostra estate.
L’estate ci faceva sentire fortunati.
Era come se non capissimo che l’estate arrivava sempre e comunque, a prescindere da come ci eravamo comportati: per noi l’estate arrivava se la meritavamo.
E la meritavamo sempre.
Le stagioni passavano e noi accumulavamo estati meritate, ma poi successe qualcosa.
L’età aumentava e il tempo sembrava scorrere più veloce.
Niente attese esorbitanti, anzi, sembrava che l’estate fosse sempre alle porte e l’inverno, lungo ma non troppo.
La normalità stava per prendere anche noi: bambini che un tempo prima ci sentivamo speciali nel vivere l’estate, ora eravamo adulti intrappolati nella monotona quotidianità.
La normalità può essere un vestito scomodo, se non si sa come indossarlo.
Sa essere un paio di scarpe troppo strette, se non ci si concede una corsa a piedi scalzi.
Il problema è che la normalità a un certo punto della vita è agognata, ma d’un tratto sembra che non vada più bene.
E allora si decide di stravolgere noi stessi, e le conseguenze sanno essere disarmanti: quelli che hai intorno sono stravolti insieme a te, e non sempre ciò ha un effetto positivo.
L’estate, che era qualcosa d’impossibile dal sapore speciale di ciò che sa sempre tornare, diventò l’abitudine.
Ciò che prima era davvero apprezzato, ora era semplicemente vissuto.
Ciò che prima non rappresentava solo una stagione, ora arrivava ad esserlo.
Da un cappotto pesante, a una maglia leggera, non sentivamo più quella fortuna di esserci arrivati davvero allo scorrere del tempo.
Siamo fatti al contrario: quando dovremo ancora di più apprezzare quello che ci accade, quel qualcosa di profondamente semplice, e per questo profondamente vero, stoltamente, non ce ne accorgiamo più.
Quando siamo piccoli e tutto è una novità, sappiamo davvero essere felici.
Poi ci abbandoniamo: ci abbandoniamo all’essere stupidamente normali, scioccamente monotoni per paura di osare un po’ felicità.
Ci abbandoniamo ad un mondo di convinzioni e convenzioni solo perché, creare qualcosa dal principio, costa troppa fatica.
Vogliamo tutto, senza l’attesa, e quindi finiamo per avere il mondo, ma non saperci giocare bene.
Siamo adulti viziati, senza occhi curiosi.
Voglio essere l’eccezione.
Il tempo passa per tutti, anche per quelli che fanno finta di niente, anche per quelli che mettono jeans a vita bassa, troppo stretti per l’età che dolcemente si è sistemata sui fianchi.
Il tempo passa e con lui ho capito che è una questione di occhi.
Se tutto dipende da come affrontiamo le cose, io voglio avere gli occhi di una bambina, e una mente da adulta.
Voglio essere curiosa nel guardare tutto ciò che mi passa la vita e conservarlo in memoria.
Voglio meritarmi l’estate, vivermi bene l’inverno come quella stagione in cui gli abbracci sono sempre più forti, perché ti riscaldano le ossa e ti riscaldano la vita.
Voglio rubare i raggi del sole ad un agosto afoso, e mettermeli nel cuore per vivere un inverno felice.
Voglio sentire il tempo che passa lentamente e d’un tratto vedere che ho corso tanto e sono grande, senza esserlo davvero.
Voglio essere l’eccezione della normalità vissuta come una vittoria.
Voglio una (a)normalità; una normalità autonoma, di quelle che ti svegli nello stesso letto da anni, ma sei sempre diversa, e decidi per quel giorno, di scendere dal letto senza indossare le ciabatte.
Voglio capire che l’estate non è solo una stagione, ma un modo di essere con noi stessi.
Voglio meritare l’estate e rubarla al cielo per decorarmi la mente: la mente di una bambina, ormai grande, ma sempre felice, perché ha capito che la felicità sta negli occhi, in come vengono usati in accordo con il cuore.
Voglio essere l’eccezione per le stagioni che passano.
Vanessa Romani