Cari amici, eccovi una notizia buona ed una notizia cattiva.
La buona: è tornato a San Siro Zlatan Ibrahimovic. La cattiva: Ibra è pure un grande cacciatore. Il calciatore sarà il taumaturgo del derelitto Milan.
Il cacciatore dovrà vedersela coi gruppi animalisti che lo hanno subito messo nel mirino: “Ibrahimovic, lo sport non cancella l’odore, Zlatan hunter go home” è la scritta di uno striscione affisso a Milanello prima di Natale, con l’immagine di Ibra a terra circondato da carcasse di animali.
Come si sa, la trattativa per riportarlo al Milan, dove ha giocato dal 2010 al 2012, è stata laboriosa. Dettata dalla disperazione, dopo il crollo contro l’Atalanta: Ibra, infatti, ha già 38 anni. Non gioca dal 28 ottobre. Le ultime due stagioni le ha trascorse nel campionato Usa, rifugio dorato dei grandi campioni europei sul viale del tramonto. Più dei gol, da lui si vuole che faccia da chioccia, e sfrutti il suo carisma per resuscitare una squadra di giovani apallici, i cui fallimenti hanno imbufalito il popolo rossonero.
Pare una favola natalizia. Si spera in un finale da Pasqua. L’esordio sarà contro la Sampdoria, il giorno della Befana. La festa dell’Epifania in fondo è la rivisitazione di un mito pagano, quello della dea Diana che passa di casa in casa offrendo prosperità in cambio di qualche piccola offerta. Quella del Milan è assai generosa.
Guarda caso, Diana è la dea della caccia. La smisurata passione di Ibra che il gruppo “Centopercento animalisti” ha pesantemente stigmatizzato:
“Non vogliamo parlare delle sue prestazioni calcistiche, su cui non abbiamo nulla da dire, ma dell’aspetto etico del personaggio: Ibra è un cacciatore, ma non come tanti. E’ un vero maniaco della caccia, cui dedica con la moglie tutto il suo tempo libero. Ha comperato in Svezia un’isola per popolarla di animali da uccidere, viaggia per cacciare in tutto il mondo (…) dichiara che il suo sogno è ammazzare esemplari delle specie più rare”.
Per il gruppo, il cacciatore è un “sadico psicopatico”, un vile, un “vandalo”. La presenza di Ibra, è la conclusione, non porterà fortuna. Tutta colpa di una consonante. La “l” che diventa “c”.
Leonardo Coen