Tra Salvini e le Sardine il campo da battaglia è il linguaggio
Agli italiani piace l’uomo forte; che grande novità! Se proprio uno vuole buttare soldi in sondaggi che almeno non siano scontati, che ne so: “ritenete che i canditi nel panettone servano per far durare la fetta più a lungo, visto che ci si perde un’ora per scartarli anche se alla fine uno lo becchi sempre?”
Qui bisogna andare alla radice del problema non galleggiare sulle evidenze. A noi italiani non piace l’uomo forte, siamo molto più oziosi, a noi piace delegare. Prendiamo le Sardine: piaccia o meno è un movimento di opinione che ha raccolto il dissenso più che il malumore, ma dopo neanche due mesi dalla loro esplosione arrivano critiche e “richieste” di qualsiasi tipo: “non parlate solo del pericolo populista o del pessimo linguaggio della politica, perché non parlate di lavoro e disoccupati? Perché non parlate della malasanità, o delle pessime condizioni delle scuole.. etc. etc?”
Anche in questo caso l’atteggiamento degli italiani è lo stesso, le sardine restano quello che sono e fanno quello per cui sono nate, quindi rimane un movimento di opinione (con la speranza che resti tale), una coscienza collettiva che mette in discussione e critica la pericolosa deriva che stiamo prendendo, ma non è certo l’acqua di Lourdes!, anche se nella nostra volontà di delegare ci conviene vederli sotto un aspetto impropriamente messianico alla “no artri”.
L’italiano è un’acida brutta addormentata: nel suo agitato sonno fatto di “saprei io cosa fare” aspetta prima il miracolo e se questo non arriva si accontenta del primo fanfarone con le pezze al cervello che dice di amarla. In genere trattasi del più grande distributore di mele avvelenate del circondario, ma basta che cammini con un rosario brandito tra i denti e un presepe in mano che subito ci destiamo dal nostro malato sonno per poi svenire ancora e ancora sotto lo stesso fetido alito che ci ha risvegliato.
Quindi il problema non è di sostanza ma di interpretazione: che sia Salvini o le Sardine il nostro atteggiamento è lo stesso: qualcuno che si faccia carico delle nostre istanze, istanze che spesso non conosciamo neanche noi perché mosse dalla contingenza del momento o perché seguiamo la scia del malcontento generale. Noi ci prendiamo quello che ci serve, e in fondo che le sardine pretendano un linguaggio politico semplicemente civile ci sembra poco utile, anzi, proprio acqua fresca.
E qui c’è l’inghippo! Proprio nel momento in cui crediamo che queste pretese siano inutili mostriamo la nostra povertà sociale, culturale e civile.
Pensiamo a uno scenario diverso: se avessimo preteso un linguaggio politico di un certo livello trent’anni fa di certo ci saremmo risparmiati il berlusconismo (bello sognare!) ed ora non ci ritroveremmo con una trasversale torma di cavernicoli rappresentata alla perfezione da un insaziabile coprofago che vaneggia di parlare con la Madonna. Pensate: non ci sarebbero stati i titoli di Libero, Feltri sarebbe ciò che avrebbe dovuto essere da quando aveva quindici anni: un pensionato inacidito che smadonna davanti a un cantiere, avremmo fatto l’antirabbica in tempo utile a Mario Giordano, avremmo trovato il mix ideale di farmaci psicotropi per gli immotivati deliri di onnipotenza di Renzi – per poi curare anche Grillo con dosi da cavallo -, avremmo riportato la Meloni dal 1938, e infine Prodi avrebbe realizzato la sua vera vocazione: fare sedute spiritiche a pagamento in un Luna Park dove non avrebbe potuto nuocere a nessuno.
Immaginiamo cosa ci saremmo risparmiati: Bunga bunga, Papete, marocchine minorenni più furbe di un capo di Stato sempre allupato, parlamentari che facevano la danza dei sette veli ad Arcore vestite da Boccassini. Vi rendete conto? Poi non venissero a farmi la morale su una diciannovenne che fa il dito medio in aereo mentre Salvini dorme quando per decenni abbiamo visto corna di Berlusconi al G20 e medi sventolati da Bossi, dallo stesso Salvini e dalla Santanché, giusto per citarne alcuni. Veramente è il colmo.
Insomma è stato un trentennale gioco al ribasso organizzato in un allettante pozzo senza fondo, ma soprattutto accettato e caldeggiato da tutti noi. Per quanto tempo mi sono sentito dire: “piace perché parla in modo semplice e diretto”, oppure “parla alla pancia delle persone”. No, parla male!, e a te piace la gente che parla male! Poi va’ da sé che se chi ci rappresenta è un buzzurro alla lunga cominciamo a diventare degli imbecilli anche noi, o forse lo siamo stati prima di loro e li abbiamo scelti proprio perché rappresentavano quello che siamo sempre stati, poveri e indifferenti.
Ed è a questo punto che il problema interpretativo torna ad essere una questione di sostanza: chiedere un linguaggio consono e adeguato non è solo una questione formale, ma sostanziale.
In fondo le sardine non fanno altro che rappresentare – forse tardivamente – una deriva che noi stessi cominciamo a non sopportare più. Non è un caso che ci aggrappiamo alla parole di Mattarella o del Papa e finanche di Conte, che in tutto questo circo sembra quello che – vestito di tutto punto con cilindro e frustino – presenta i numeri degli animali feroci e dei clown!
Non sono un ottimista, neanche nei confronti di chi ha istanze più che sacrosante. Mi ripeto, forse le sane rivendicazioni che arrivano dalle piazze sono giunte tardi perché per quanto ci sembri assurdo “il modello italiano” di politica ora dilaga in questo continente e persino oltreoceano. Siamo stati l’infelice prodromo di una prepotente mediocrità, forse solo l’inizio di una parabola della “decadenza” che deve seguire suo rovinoso corso.
Buon Natale