Circa 49 i giornalisti uccisi e 389 quelli detenuti: reso noto il rapporto Reporters sans Frontières 2019, in cui si registra il numero più basso di giornalisti uccisi fin da 2012.
È un numero da record quello dei giornalisti uccisi, statistica resa nota dal rapporto Reporters sans frontières 2019. L’organizzazione, che fin dal 1995 si occupa delle libertà di espressione dei giornalisti, ha riportato 49 giornalisti uccisi in tutto il mondo negli ultimi 12 mesi. L’indagine riporta il numero più basso degli ultimi 16 anni, e si evince come, la maggior parte dei giornalisti siano stati uccisi in zone di pace che di guerra.
“Questa doppia tendenza fra linee frontali meno letali e paesi in pace più pericolosi che mai ha una conseguenza. Ci sono proporzionalmente più morti nei paesi in pace (59 per cento) che nelle zone di conflitto. Si registra anche un aumento di 2 per cento del numero di giornalisti assassinati o deliberatamente presi di mira”, si legge nel documento.
La maggior parte dei giornalisti uccisi, in ogni caso, si trovava tra Yemen, Siria e Afghanistan. Anche il Messico risulta uno dei Paesi più pericolosi, con 10 giornalisti scomparsi in un anno, più i 14 uccisi. Lo spiega anche Christophe Deloire segretario generale di Rsf: “L’America Latina è diventata mortale come il Medioriente”, afferma il portavoce. Si ricorda ancora come nel mese di luglio siano stati riportati 3 omicidi giornalistici. Tra questi Jorge Ruiz Vazquez (“Grafico de Xalapa”), Edgar Alberto Nava Lopez (fondatore de “La Verdad de Zihuatanejo”) e Rogelio Barragan, (direttore del portale online “Guerrero al instante”).
Giornalisti detenuti nel mondo
Il 60% dei giornalisti dichiaranti (coloro che non celano la propria professione), perde la vita proprio a causa del loro mestiere, sebbene nessun operatore sia stato ucciso all’estero nel 2019, ma siano tutti morti nel Paese d’origine. Diminuiscono però, i giornalisti uccisi nelle zone di guerra: 17 rispetto ai 34 del 2018. Complessivamente, tra i deceduti, hanno perso la vita 46 uomini e tre donne, contro gli 80 del 2018. Tra le vittime in 36 erano giornalisti professionisti, 10 citizen reporters e 3 collaboratori. Nonostante i dati riportino comunque degli omicidi e un numero degli estinti, l’ong riferisce come i dati raccolti rimangano comunque inferiori rispetto all’anno precedente: difatti, il 2018 è stato considerato un anno nero per il giornalismo globale, con 80 vittime in tutto il mondo (benché l’anno peggiore è stato il 2012, in cui vennero registrati 147 giornalisti uccisi nel mondo).
Tra le statistiche ci sono anche numeri più importanti, tra cui i 389 giornalisti in carcere, un +12% rispetto all’anno scorso. Dei cronisti privati della libertà, quasi la metà sono detenuti in Cina, Egitto e Arabia Saudita. Inoltre, nel reportage si menzionano anche i 57 giornalisti tenuti in ostaggio. Principalmente sono prigionieri in Siria, Yemen, Iraq e Ucraina, per via del clima di intimidazioni e minacce alla stampa. La Cina, che ha intensificato la repressione contro la minoranza uigura, detiene da sola un terzo dei prigionieri totali di tutto il mondo. Reporters Sans Frontières sottolinea come in effetti, “Il giornalismo rimane una professione pericolosa”.
Anna Porcari