Salvini ha detto che a “Bella Ciao” preferisce
“la canzone su cui i nostri nonni e bisnonni hanno dato la vita per salvare il nostro Paese, con il Piave che mormorava non passa lo straniero”.
Che è un bel nuovo passo nel suo cammino di distruzione dell’unità degli italiani.
Dopo aver messo per una vita padani contro terroni e poi italiani contro italiani, adesso passa pure ai morti e alla storia. E prova a mettere i giovani italiani morti durante la prima guerra mondiale contro i giovani italiani morti durante la Resistenza nella Seconda guerra mondiale.
Perché lui ama l’Italia. Questo sia chiaro.
Intanto per Matteo Salvini – che non si sa perché ce l’abbia tanto con gli italiani che hanno scacciato i nazisti tedeschi, è una cosa che proprio non gli va giù – solo i nostri nonni e bisnonni che hanno combattuto durante la Prima Guerra Mondiale “hanno dato la vita per salvare il nostro Paese”.
Gli altri no.
Per lui i nostri nonni e bisnonni che hanno dato la vita durante la Resistenza per liberarci dai nazisti che trucidavano donne e bambini non hanno salvato il Paese. Per Salvini quell’esercito non era un esercito invasore. Quindi a lui Bella Ciao non piace.
Ci sono tuttavia delle piccole differenze storiche tra le due tragedie che rivelano una certa coerenza di Salvini.
Intanto noi nella Prima Guerra Mondiale non fummo gli aggrediti dall’invasore, ma gli aggressori. E non solo fummo noi ad aggredire l’esercito Austro-Ungarico: lo facemmo pure accoltellandoli alle spalle visto che loro erano i nostri alleati. E tutto questo, se ci pensate, rientra molto nell’indole del nostro Matteo.
Nella Resistenza invece gli aggrediti fummo noi. Certo, sempre dopo un tradimento dell’Italia (che prima stava con i nazisti e poi passò con gli americani) ma chi combatté nella Resistenza, al fianco dei nazisti, non ci volle stare mai.
In secondo luogo i giovani che andarono a morire sul Piave, a morire, ci furono mandati a forza. Per tantissimi, tantissimi di loro non fu una scelta. Giovani e giovanissimi contadini, operai, ragazzi poveri del Sud che volevano solo lavorare e stare con i propri cari furono mandati al macello, a crepare come bestie in trincea, in una guerra in cui non eravamo stati coinvolti, decisa da politici, industriali e generali, senza che nessuno avesse chiesto il loro parere.
Mentre i partigiani sono stati ragazzi, uomini e donne che hanno scelto di combattere, che hanno scelto di morire, che hanno scelto di cacciare un esercito invasore. Non aggredito, come nel caso della prima guerra mondiale, ma aggressore.
Insomma, se vogliamo in questa scelta, da parte di Salvini, c’è della coerenza: meglio una canzone cantata da figli mandati al macello per aggredire un altro Stato che abbiamo tradito, che la canzone di un popolo di giovani italiani che sceglie di dare la vita per liberare l’Italia dall’aggressore nazista.
Onore ai ragazzi mandati a morire sul Piave per la gloria dell’Italia.
Onore ai ragazzi, gli uomini e alle donne andati a morire sulle montagne per la nostra libertà.
Tutti, senza “preferenze” figli dello stesso dolore, vittime della stessa violenza, padri della stessa Patria.
Disonore e vergogna su chi ostinatamente cerca solo da una vita di mettere gli italiani gli uni contro gli altri e infangare la memoria di chi ci ha donato a questo Paese e la Democrazia.
CHIEDO A TUTTI, PRIMA DI FARE ARTICOLI DI QUESTO TIPO DI STUDIARE UN MINIMO DI STORIA
1904-1915. TRADIMENTO ED AGGRESSIONE DELL’AUSTRIA ALL’ITALIA
Il prossimo 24 maggio cadrà il centenario esatto dell’ingresso in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Pare giusto ricordare la data sfatando alcuni falsi miti.
Si sente talora accusare l’Italia d’aver commesso con l’ingresso nella prima guerra mondiale un presunto ed indimostrato “tradimento” dell’alleanza con l’Austria-Ungheria, il che in realtà non avvenne. È necessario conoscere e comprendere ciò che era avvenuto prima del 1915, altrimenti la decisione italiana d’entrare nel conflitto sarebbe incomprensibile.
In estrema sintesi, lo stato italiano aveva accettato già alla fine del secolo XIX d’aderire all’alleanza con l’Austria per due ragioni fondamentali: la prima era la speranza di mitigare l’opera di snazionalizzazione sistematica (vero e proprio genocidio culturale) di cui erano vittime gli Italiani del Trentino, della Venezia Giulia e della Dalmazia ad opera dell’impero; la seconda, correlata alla prima, era l’aspirazione ad ottenere le terre irredente, od almeno parte di esse, per via diplomatica. Infatti un articolo della Triplice Alleanza l’articolo VII stabiliva che l’Italia aveva diritto a compensi territoriali dall’impero asburgico nel caso che esso si espandesse nei Balcani.
Non solo ambedue queste speranza furono disattese, ma in più l’Austria violò ripetutamente ed in modo gravissimo le norme del trattato d’alleanza, anche con azioni che si possono configurare quali veri e propri atti di guerra contro l’Italia.
1) Il 13 ottobre 1904 Aehrenthal, ambasciatore asburgico a san Pietroburgo, e Lamsordv, ministro degli esteri zarista, firmarono un trattato segreto, che impegnava i due paesi a proseguire nella loro collaborazione politica, imperniata sulla volontà di conservare lo status quo nei Balcani e sull’impegno a mantenere la neutralità assoluta nel caso che una delle due parti contraenti si fosse trovata in conflitto con una terza potenza. Questo patto segreto con la Russia non fu comunicato dall’impero asburgico all’Italia, ma solo alla Germania, poiché, come spiegò Francesco Giuseppe in una sua lettera a Guglielmo II spedita il 1 novembre 1904, esso aveva proprio una finalità anti-italiana. Esso costituiva una prima violazione delle norme delle Triplice.
[Oesterreich-Ungarn und Serbien 1903-1918. Dokumente aus Wiener Archiven, Beograd, Historisches Institut, 1971-1989, documenti della seconda sezione, dd. 112, 162, 186, 195, 197, 204, 221, 234; la lettera di Francesco Giuseppe all’imperatore tedesco è invece conservata in “Die Grosse Politik der Europaischen Kabinette 1871-1914”, Berlin, Deutsche Verlagsgesellschaft fur Politik und Geschichte”, 1922-1927].
2) il capo di stato maggiore asburgico, Conrad von Hötzendorf, richiese per due volte un attacco a sorpresa ed a tradimento contro l’Italia, paese alleato, precisamente dopo il terremoto di Messina del 1908 (la prima volta) e durante la guerra di Libia nel 1911 (la seconda volta). Il Conrad ammette questi suoi progetti persino nelle sue memorie: Feldmarschall Conrad, “Aus meiner Dienstzeit”, Wien-Berlin, 1921. Famigerata è la nota inviata dal von Hötzendorf ad Aehrenthal il 24 settembre 1911, in cui egli proponeva che l’impero asburgico si lanciasse in una guerra a tradimento contro l’Italia approfittando del conflitto italo-turco (che sapevano essere prossimo: fu proclamato il 29 dello stesse mese), od in alternativa alla distruzione della Serbia ovvero alla conquista d’altri territori balcanici.
La causa scatenante delle convinzioni di questo alto ufficiale riguardo all’Italia fu la rivolta di Trieste del 1902, che fu repressa con l’imposizione dello stato d’assedio ed un gran numero di morti dalle autorità militari, sotto la supervisione di von Hötzendorf. Questi affermò ed espresse in decine e decine di rapporti, lettere ecc. la sua personale convinzione che le imponenti manifestazioni dei lavoratori, a cui le unità imperiali risposero sparando ad altezza d’uomo e caricando alla baionetta, avessero avuto l’appoggio degli irredentisti italiani. Tale sua opinione fu talmente radicata, che la repressione sanguinosa dello sciopero triestino rappresentò per questo alto ufficiale imperiale uno spartiacque nelle sue idee politiche e strategiche. Conrad von Hötzendorf divenne da quel momento un accanito sostenitore d’una guerra, offensiva e senza preavviso, contro il regno d’Italia, malgrado questo fosse alleato dell’Austria. Il von Hötzendorf non fu l’unico a trarre queste conclusioni dall’insurrezione di Trieste del 1902, poiché all’interno delle alte gerarchie militari e politiche asburgiche molti altri si convinsero che l’unico modo per l’impero di sopravvivere fosse d’attaccare e distruggere l’Italia e la Serbia. Lo sciopero di Trieste del 1902 divenne in tal modo una della cause scatenanti del primo conflitto, poiché rafforzò le tendenze belliciste dell’impero asburgico ed il tentativo da parte della sua oligarchia dominante di conservare il proprio potere, scosso dalle volontà nazionali dei popoli soggetti, attraverso il ricorso alla forza.
Conrad von Hötzendorf comunque chiese con insistenza un attacco all’Italia per tutto il periodo 1906-1914, trovando in questo il sostegno e l’appoggio di Francesco Ferdinando, l’erede al trono (che ormai costituiva di fatto il vertice dell’impero in considerazione della tarda età di Francesco Giuseppe), degli ambienti di corte e dello stato maggiore, oltre al consenso di larga parte dell’opinione pubblica. La definizione di “italofobo” riferita a von Hötzendorf è dalla biografia su questo personaggio scritta da Lawrence Sondhaus, probabilmente il più grande storico militare vivente americano sul tema Austria/Ungheria. Sondhaus nel suo libro “Franz Conrad Von Hötzendorf: Architect of the Apocalypse” accomuna sia von Hötzendorf sia Francesco Ferdinando d’Asburgo in questa “italofobia”, ed aggiunge che costoro non erano gli unici a pensarla in tal modo (“Francis Ferdinand, an italophobe and no friend of the Triple Alliance. They were not alone in their thinking”).
Il generale Hötzendorf era ossessionato anche dall’idea di una guerra d’aggressione, per quanto ritenuta “preventiva”, anche contro la Serbia, che egli propose nel 1906, nel 1908, nel 1912, nel 1913 ed ancora nel 1914.
Se l’Austria non attaccò, a sorpresa ed a tradimento, l’Italia, approfittando in un caso del terremoto di Messina, nell’altro della guerra italo-turca, ciò fu solo perché la Germania, consultata in proposito, lo impedì.
[Oesterreich-Ungarn und Serbien 1903-1918. Dokumente aus Wiener Archiven, Beograd, Historisches Institut, 1971-1989, “Note des chefs des Generalstabs Conrad”, 24 settembre 1911, d. 2644; Hew Strachan, La Prima Guerra Mondiale, Milano, 2005; Vezio Vascotto, La guerra Italo-Turca, su Storia Militare n° 226, Luglio 2012, pag 26-39].
3) la crisi internazionale provocata dalla decisione unilaterale della Duplice Monarchia d’annettere la Bosnia, che era divenuta un protettorato (non un possesso diretto) nel 1878, con l’obbligo sottoscritto dall’impero asburgico di non annetterla, è stata oggetto di molti studi esaustivi, fra cui si possono ricordare Albertini, Duce, Tommasini fra gli italiani, e Nincic e Schmitt fra gli stranieri.
La crisi incominciò con la decisione asburgica d’annettere quello che era soltanto un protettorato (che per di più aveva opposto resistenza all’invasione imperiale nel 1878), in contrasto con gli impegni internazionali presi dal governo di Vienna nell’anno dell’occupazione della Bosnia-Erzegovina. Si andò vicini ad una guerra con Serbia e Russia, che alla fine arretrarono soltanto per le minacce della Germania, che di fatto impose l’accettazione dell’annessione (la crisi durò dall’ottobre 1908 al marzo 1909). L’annessione del protettorato della Bosnia costituiva quindi una violazione degli impegni presi dall’impero asburgico nel 1878 con la Russia e la Serbia, che prevedevano che questa regione non fosse annessa.
Inoltre costituiva anche una violazione degli accordi presi con l’Italia. Nel 1904 il ministro degli esteri asburgico, Goluchowski, si incontrò con il suo omologo italiano ad Abbazia, nel Quarnero, per trovare un accordo fra i due governi al fine d’evitare tensioni riguardanti i Balcani. Tittoni assicurò Goluchowski che l’Italia non aveva intenzione d’intervenire nei Balcani, ed il ministro degli esteri asburgico fece lo stesso nei suoi confronti, assicurando che non si sarebbe modificato lo status quo esistente, inclusa la condizione della Bosnia, che sarebbe rimasta un protettorato, ma non sarebbe stata annessa. L’unica variazione che, assicurava Goluchowski, avrebbe potuto essere apportata sarebbe stata l’occupazione del sangiaccato di Novi Bazar, ma non l’annessione della Bosnia. [Aufzeichnung über eine Unterredung Seiner Excellens des Herrn Ministers Grafen Goluchowski mit dem königlich italienischen Minister des Aussern Tittoni, in Oesterreich-Ungarn und Serbien 1903-1918. Dokumente aus Wiener Archiven, Beograd, Historisches Institut, 1971-1989]
Comunque, per ciò che riguarda la Triplice Alleanza, l’articolo VII stabiliva che l’Italia aveva diritto a compensi territoriali dall’Austria nel caso che essa si espandesse nei Balcani, il che era avvenuto con l’annessione unilaterale della Bosnia-Erzegovina. Il ministro degli esteri italiani Guicciardini si mise pertanto in contatto con i suoi omologhi di Austria e Germania; il 2 gennaio 1910 s’incontrò con l’ambasciatore austriaco Lützow, ricordandogli che bisognava applicare e precisare i contenuti dell’articolo VII; poi parlò direttamente col nuovo cancelliere della Germania, Bethmann-Hollweg, ricordandogli che era necessario procedere con l’articolo VII, in seguito all’annessione austriaca della Bosnia. Il cancelliere tedesco ammise che ciò era giusto, sostenendo però che prima di prevedere quanti territori l’Austria dovesse cedere bisognasse prima stabilire quanti territori avesse occupato (sic). In seguito, il nuovo ministro degli Esteri italiano, Antonio di San Giuliano, si incontrò con il nuovo ministro degli esteri austriaco, il Merey. Anch’egli, come già aveva fatto il cancelliere tedesco, ammise che secondo l’articolo VII l’Austria avrebbe dovuto, avendo annesso la Bosnia, cedere suoi territori all’Italia come compenso, però chiese che si aspettasse sino al prossimo rinnovo del trattato. Per farla breve, sia la Germania, sia l’Austria dovettero riconoscere che in base all’articolo VII, dopo l’annessione della Bosnia-Erzegovina l’Italia avrebbe avuto diritto a compensi territoriali, ma si rifiutarono di procedere in tale direzione, cercando pretesti e cavilli. [“Documenti diplomatici Italiani”, Roma, Libreria dello stato-Istituto poligrafico dello Stato, 1933; Die Grosse, cit., Aufzeichnung der Reichskanzler von Bethmann-Hollweg, 5 aprile 1910; “Österreich-Ungarns Aussenpolitik von der Bosnischen Krise 1980 bis zum Kriegsaubruch 1914”, Wien, Österreichischer Bundesverlag 1930-, d. 2171, Merey ad Aehrenthal, 13 maggio 1910].
4) L’impero asburgico si rese responsabile negli anni precedenti al conflitto di almeno tre autentici atti di guerra contro l’Italia, compiuti secondo modalità che oggigiorno sarebbero definite di “guerra sporca”, in modo indiretto ed il più segretamente possibile.
A) Durante la guerra italo-turca l’Austria non solo progettò d’attaccare, senza motivo ed a tradimento, l’alleata Italia (il che non avvenne solo per merito della Germania), ma diede appoggio politico e militare nascosto alla Turchia, incitando Istanbul a continuare il conflitto e fornendogli armi e finanziamenti. In Libia era la Germania che, sia direttamente con suoi agenti segreti ed ufficiali, sia indirettamente e per il tramite della Turchia, mandava istruttori militari, armi ed oro, per alimentare la guerriglia contro l’Italia e suscitare l’insurrezione, servendosi in questo di sommergibili.
B) in Albania l’Austria, impossibilitata dalla guerra a dispiegare un’azione aperta, inviava segretamente armi e denari, fomentando le insurrezioni locali.
C) In Abissinia era ancora l’Austria che esercitava un’opera d’accanita sobillazione ai nostri danni presso il negus ligg Jasù (con cui si era in piena pace), incitandolo ad invadere Eritrea e fornendolo d’artiglierie.
Questi furono soltanto i fatti più gravi, ma ne furono molti altri perpetrati dagli austro-tedeschi nel periodo di neutralità che erano comunque contrari al diritto internazionale e lesivi della sovranità nazionale italiana.
Questi erano atti di guerra, che ponevano l’Austria e la Germania in stato di guerra di fatto, ma non dichiarata, con l’Italia, quando essa era ancora neutrale ed erano in corso trattative diplomatiche. Anche se formalmente è stata l’Italia a dichiarare guerra all’Austria ed alla Germania, di fatto sono stati questi due imperi ad iniziarla, aggredendo proditoriamente lo stato italiano.
Si dovrebbe aggiungere ancora che il comportamento austriaco fu tutt’altro che corretto anche sotto altri aspetti nei confronti di un paese alleato come l’Italia. Ad esempio, la marina imperiale aveva fatto spargere mine in Adriatico senza prendere le debite assicurazioni contro il loro spostamento e diffusione, con il risultato che esse talora finirono in acque territoriali italiane, provocando l’affondamento di navi italiane e la morte degli equipaggi. L’Austria rimase inerte anche dopo le proteste ufficiali del governo italiano, continuando con quella che si configurava quale una violazione delle norme del diritto internazionale marittimo. Frattanto venivano segnalate reti spionistiche dell’Austria e della Germania che operavano in Italia settentrionale ed a Roma.
5) A tutto questo s’aggiunga il regime di guerra di fatto attuato dall’impero asburgico sin dal lontano 1866, non contro lo stato italiano ma contro la nazione italiana, a causa delle gravissime misure persecutorie contro gli italiani sudditi dell’imperatore che vivevano in Dalmazia, Venezia Giulia, Trentino, con la finalità (da parte dell’impero) di cancellarne l’esistenza culturale e l’identità nazionale.
La pulizia etnica imperiale fu senz’altro fra le cause dell’ingresso in guerra dell’Italia. Essa è abitualmente trascurata dalla storiografia quando si elencano le ragioni del conflitto. Eppure all’epoca esisteva consapevolezza sia nell’opinione pubblica italiana, sia nella classe dirigente, di ciò che stava succedendo nel Trentino, nella Venezia Giulia, in Dalmazia, il che pesò fortemente nella decisione finale d’entrare in guerra.
Una testimonianza ufficiale ed al più alto livello è la stessa dichiarazione di guerra dell’Italia alla Duplice monarchia, che enumera le motivazioni della decisione, fra cui anche la snazionalizzazione patita dagli italiani ad opera dell’impero asburgico:
«Non sarà fuori di luogo osservare che, cessata l’alleanza, è cessata la ragione dell’acquiescenza, determinata per tanti anni nel popolo italiano del desiderio sincero della pace, mentre rivivono le ragioni della doglianza per tanto tempo volontariamente repressa per il trattamento al quale le popolazioni italiane in Austria furono assoggettate. Patti formali a tutela della nostra lingua, della tradizione e della civiltà italiana nelle regioni abitate dai nostri connazionali, sudditi della Monarchia, non esistevano nel Trattato. Ma quando all’Alleanza si volesse dare un contenuto di pace e d’armonia sincera, appariva incontestabile l’obbligo morale dell’alleato di tener in debito conto anzi di rispettare con ogni scrupolo, il nostro interesse costituito dall’equilibrio etnico nell’Adriatico. Invece la costante politica del Governo austro-ungarico mirò per lunghi anni alla distruzione della nazionalità e della civiltà italiana lungo le coste dell’Adriatico. Basterà qualche sommaria citazione di fatti e di tendenze, ad ognuno già troppo noti sostituzione progressiva dei funzionari di razza italiana con funzionari d’altra nazionalità; immigrazione di centinaia di famiglie di nazionalità diverse; assunzione a Trieste di Cooperative di braccianti estranei; decreti Hohenlohe diretti ad escludere dal Comune di Trieste e dalle industrie del Comune, impiegati regnicoli; snazionalizzazione dei principali servizi del Comune di Trieste e diminuzione delle attribuzioni municipali; ostacoli d’ogni sorta all’istituzione di nuove scuole italiane; regolamento elettorale con tendenza antitaliana; snazionalizzazione dell’amministrazione giudiziaria; la questione della Università, che formò pure oggetto di trattative diplomatiche; snazionalizzazione delle compagnie di navigazione; azione di Polizia o processi politici tendenti a favorire le altre nazionalità a danno di quella italiana; espulsioni metodiche ingiustificate e sempre più numerose di regnicoli. La costante politica del Governo Imperiale e Reale riguardo alle popolazioni italiane soggette, non fu unicamente dovuta a ragioni interne o attinenti al gioco delle varie nazionalità contrastanti nella Monarchia; essa invece apparve inspirata in gran parte da un intimo sentimento d’ostilità e d’avversione riguardo all’Italia, dominante in alcuni circoli più vicini al Governo austro-ungarico ed avente una determinante influenza sulle decisioni di questo. »
È banale osservare che così scrivendo il governo ed il parlamento indicavano ufficialmente fra le cause del conflitto proprio la snazionalizzazione subita dagli italiani, che in verità fu molto più grave di quanto non appaia dalla breve descrizione presentata nella dichiarazione di guerra.
Ma esistono molti altri dati che suggeriscono che questa pulizia etnica abbia pesato fortemente nella decisione finale dello stato italiano, ad iniziare dalla grande diffusione nell’opinione pubblica di numerose inchieste giornalistiche sulle condizioni in cui vivevano gli italiani nell’Austria-Ungheria, scritte fra il settembre del 1914 e l’estate del 1914 ad opera di Luigi Barzini (il principale inviato de “Il corriere della sera”) e Virginio Gayda, il corrispondente de “La Stampa” da Vienna. Questi lunghe e dettagliate relazioni si aggiunsero ai numerosi articoli che molti giornali avevano pubblicato già negli anni precedenti riguardo alla pulizia etnica, alzando di molto l’animosità di larga parte dell’opinione pubblica contro l’Austria.
Una panoramica complessiva dei rapporti diplomatici fra Italia ed impero asburgico immediatamente prima della guerra si ritrova nel saggio di Luciano Monzali L. MONZALI, Italiani di Dalmazia: dal Risorgimento alla grande guerra, Firenze 2011, pp. 185-297. Non potendosi certo riportare un intero e denso capitolo ci si può limitare a citare una frase significativa di questo storico, che nel suo libro ammette la realtà della snazionalizzazione perseguita dall’impero: “Dall’estate 1913 la questione nazionale italiana in Austria ritornò al centro dei rapporti italo-austriaci, senza più uscirne”. (Ibidem, p. 271).
Queste sono state, tutte, violazioni del trattato della Triplice da parte dell’Austria, avvenute ben prima del 1915 e tali da configurare un autentico tradimento.
Non può esistere dubbio alcuno pertanto su cui abbia tradito il patto della Triplice Alleanza: l’impero asburgico. L’Austria temeva ed avversava l’Italia e si comportò con autentica perfidia (etimologicamente “mancanza di fedeltà”) in diversi modi, tradendo ripetutamente le clausole d’alleanza e perpetrando inoltre atti di guerra ed aggressione contro lo stato italiano e le sue forze armate, per molti anni e ben prima della dichiarazione di guerra italiana.
L’intervento in guerra italiano nel 1915 fu praticamente reso inevitabile dalle continue aggressioni imperiali e dalla minaccia costante portata da Vienna all’esistenza dello stato e dello stesso popolo italiani.
A questo si aggiunga l’affondamento del piroscafo “Ancona” e il massacro dei suoi superstiti da parte della marina militare tedesca, prima dell’apertura delle ostilità tra Roma e Berlino. Sulla slealtà della Corona austriaca consigliamo invece l’approfondimento del cosiddetto “Affare Sisto”.