Succede talvolta che l’arte si assuma delle responsabilità critiche e di denuncia tali, da indurre chiunque ne tema il potenziale distruttivo a nasconderla, a censurarla. “E’ solo arte”, si potrebbe obbiettare. Sbagliato.
Un quadro infatti può far paura. Questo perchè la verità visiva, sbattuta in faccia all’osservatore con la violenza di una pennellata, è più forte di una qualsiasi voce che svanisce nel momento stesso in cui viene emessa.
La storia che sto per raccontarvi è quella di un quadro realizzato l’indomani dalla morte di Giovanni Pinelli, anarchico milanese precipitato dal balcone della questura di Milano il 15 Dicembre 1969. Si tratta di un’opera del pittore Enrico Baj, intitolato “I funerali dell’anarchico Pinelli“(1972).
Il quadro di Enrico Baj ha, per decenni, subito il peso della verità che tentava di denunciare.
“I funerali dell’anarchico Pinelli” infatti non venne mai esposto nella data prevista, nonostante il vernissage fosse già stato fissato.
Il quadro fu anzi ritenuto un potenziale istigatore di disordini e di violenza. Per anni fu nascosto negli archivi o esposto solo temporaneamente.
Oggi, finalmente, 47 anni dopo, “I funerali dell’anarchico Pinelli” ha ottenuto una dimora fissa a Palazzo Citterio, quartiere Brera, Milano.
Ma può un quadro essere addirittura nascosto per il suo difficile significato politico e giudiziario irrisolto?
Evidentemente sì, soprattutto se ha a che fare con un tragico avvenimento che segnò l’inizio del terrorismo in Italia: la strage di Piazza Fontana avvenuta il 12 Dicembre 1969. Ma procediamo con ordine.
Quel tragico giorno registrò la morte di ben 17 persone e contò più di 80 feriti a causa dell’esplosione di una bomba collocata all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano.
La vicenda ha segnato l’inizio dei cosiddetti “anni di piombo”.
Si trattò di un periodo in cui la violenza faceva da burattinaio nelle vite della società italiana, ormai ben lontana dagli anni del benessere economico.
Le responsabilità di quanto accaduto caddero inizialmente sugli anarchici ma, come emerge da un approfondimento in merito, sul quotidiano Repubblica, oggi si può affermare che non furono coinvolti in quanto successe.
L’attentato fu opera di un gruppo nazifascista, con la complicità e la copertura di alcune autorità, che avrebbero invece dovuto denunciare e garantire una trasparenza, che per molto tempo non ci fu.
Vittima di un abuso di potere e di un clima vischioso, violento e tossico, quale era quello che si respirava a Milano nei giorni successivi alla strage, è stato Giuseppe Pinelli, un ferroviere milanese operante nel gruppo degli anarchici.
Enrico Baj gli ha dedicato un quadro, dal forte impatto emotivo, crudo, senza sconti, restituendo la sua figura allo spettatore come la vittima in aggiunta alla strage avvenuta qualche giorno prima.
Giuseppe Pinelli è precipitato giù dal quarto piano della questura dove era tenuto illegalmente in stato di fermo da più di quarantotto ore.
L’uomo era erroneamente sospettato di essere responsabile o quantomeno coinvolto con la strage di Piazza Fontana.
Il termine “precipitato” ha una funzione non solo circostanziale, ma è utile per descrivere la nebulosa vicenda, poiché raccoglie allo stesso tempo significati diversi. Pinelli può essere caduto, volontariamente o involontariamente o può essere stato fatto precipitare, dunque ucciso.
La verità sulla dinamica della morte di Pinelli non è ancora chiara dopo decenni. Circolarono diverse opinioni in merito: chi parlò di suicidio fu però smentito da determinati dettagli che non coincidevano e dal carattere dello stesso Pinelli, per nulla incline a istinti suicidi. Si parlò poi di un malore e infine della responsabilità, dell’abuso di potere della polizia stessa.
Aldilà della verità sulla morte di Pinelli, ciò che conta per la storia del quadro è ciò che quest’ultimo ha deciso di raccontare.
Risulta infatti chiaro quello che Baj pensava su quanto accadde quel giorno. Lo si evince dalla figura di Pinelli dipinta al centro della scena, che precipita come un peso morto. Il corpo dell’uomo è attorniato da un lato dai parenti che lo piangono e dall’altro da figure simbolo del potere.
Il quadro è monumentale (12 metri per 6). Enrico Baj ci ha impiegato tre anni per realizzare un’opera che voleva restituire l’intensità del dolore della perdita che colpì i familiari del ferroviere.
Nel video di seguito possiamo vedere l’opera di Enrico Baj esposta temporaneamente nel 2012 a Palazzo Reale:
“I funerali dell’anarchico Pinelli” si prese inoltre la difficile responsabilità politica di denunciare la sopraffazione, la violenza e l’abuso di potere. Realtà costante in quel periodo buio della storia.
Il quadrò grida dolore e non c’è punto di fuga possibile. Lo sfondo degli anarchici presi a manganellate dalla polizia offre una figurazione di quanto realmente accadeva nelle piazze italiane all’epoca, durante le manifestazioni.
Per realizzare quest’opera Baj si era ispirato a Guernica di Pablo Picasso, altra denuncia artistica e politica della violenza. La potenza del risultato ha indotto le autorità a considerare il quadro addirittura un’offesa per la polizia e gli organi di stato. Ma c’è di più.
Una clamorosa coincidenza ha fatto sì che “I funerali dell’anarchico Pinelli” finisse per anni nell’oblio.
Il giorno fissato per il vernissage, il 17 Maggio del 1972, un sicario uccise il commissario Luigi Calabresi. Lo stesso che ha interrogato Pinelli in questura in quel tragico giorno, poi accusato di avere una qualche responsabilità nella morte di quest’ultimo.
La serata fu annullata, il quadro ritirato dalle scene. Si temeva potesse nuovamente sconvolgere l’ordine ristabilito e offendere il lutto cittadino per la morte del commissario, ennesima vittima della violenza di quegli anni.
Ma quale ordine ristabilito? La verità non era infatti ancora emersa. Il quadro celato è l’ennesima prova di un tentativo di eclissamento dei fatti accaduti.
Per quarantasette anni, la restituzione visiva degli anni di piombo prese polvere negli archivi e vide la luce raramente, come nel caso di Palazzo Reale nel 2012 o della una mostra alla Fondazione Marconi nel 2017.
Oggi finalmente grida la sua storia dalla sua nuova dimora fissa di Palazzo Citterio a Milano, pronta a raccontare alle future generazioni, la Milano degli anni che furono e a fare onore a una verità per lungo tempo negata e nascosta.
L’arte, come spesso accade, ci era arrivata prima.
Claudia Volonterio