Politica inglese e atmosfera natalizia: cosa vi ricordano? Se la vostra risposta è Love Actually (il film del 2003 in cui Hugh Grant diventava Primo Ministro britannico), avete la nostra stima. Ma la realtà è che al momento la politica inglese e l’atmosfera natalizia ci ricordano solamente che domani si vota nel Regno Unito. E che come premier britannico non c’è l’affascinante Hugh Grant, ma c’è ancora il biondissimo Boris Johnson.
Domani, giovedì 12 dicembre, si vota nel Regno Unito per le elezioni parlamentari, per la terza volta dal 2015. I seggi saranno aperti dalle 7 di mattina fino alle 22 locali. Gli exit poll, tendenzialmente molto affidabili, saranno diffusi immediatamente dopo la chiusura dei seggi. La precisione delle proiezioni potrebbe essere messa in crisi solo nell’eventualità in cui i conservatori fossero poco sopra o poco sotto la maggioranza. In questo caso, sarebbe necessario attendere la chiusura dello spoglio in quasi tutti i collegi per avere un risultato definitivo. Come avvenne per le elezioni del 2017: i risultati arrivarono la mattina successiva come una doccia fredda per i conservatori, che non erano riusciti a ottenere la maggioranza dei seggi.
Di cose, rispetto però al 2017, ne sono cambiate molte. Ecco qui un breve riassunto della politica britannica fino a oggi.
Il favorito
Il partito favorito è quello dei Conservatori, guidato dal biondissimo Boris Johnson. I sondaggi gli assegnano già oltre il 40% delle preferenze e in questa campagna elettorale tutti gli sforzi di comunicazione sono ruotati intorno alla Brexit. Ha voluto fortemente queste elezioni, perché vuole prendersi la maggioranza assoluta del Parlamento, che ora non ha. E’ questa la causa principale dell’allungamento della discussione deal-no deal. BoJo ha bisogno di 9 seggi in più. Il messaggio dei conservatori è abbastanza chiaro: far uscire il Paese dall’Unione Europea a qualsiasi costo, anche senza un accordo. Per il resto delle questioni interne, il partito punta su un ampliamento della spesa pubblica, contro i tagli compiuti in passato ad esempio nella sanità.
Il rivale
Si attesterebbe invece sul 30% dei voti il Partito Laburista, per eccellenza espressione della sinistra britannica. E’ guidato da Jeremy Corbyn. La posizione sulla Brexit non è chiarissima. Il punto di forza del programma politico sembra essere il massiccio aumento degli investimenti, con una nazionalizzazione di una serie di servizi. A questo si aggiunge un piano relativo all’edilizia popolare. Per quanto riguarda i lavoratori, si punta a coinvolgerne i rappresentanti nei consigli di amministrazione delle società.
Gli altri
Il dark horse della politica britannica è in questo momento il Partito Liberal Democratico di Jo Swinson, che vorrebbe cancellare il risultato del referendum su Brexit. Altri outsider sono il Partito Nazionale Scozzese, il Brexit Party di Nigel Farage, i Verdi, lo UKIP, il partito gallese e quelli dell’Irlanda del Nord. Nessuno di questi gode di un consenso tale per poter ambire a guidare il parlamento, ma sarà certamente di peso nella formazione di una maggioranza.
Sempre lei: la Brexit
Se non siete stati su Saturno negli ultimi tre anni, potreste aver visto la politica britannica dal 2016 a oggi dannarsi attorno alla questione Brexit. Costata due Primi Ministri (David Cameron e Theresa May), a oggi la questione non ha ancora una soluzione chiara. Molti elettori, però, sempre secondo i sondaggi, orienteranno il loro voto proprio in base alle varie posizioni dei partiti sul problema Brexit.
1.Quelli che vogliono uscire a ogni costo
Conservatori, Brexit Party e UKIP vogliono uscire a ogni costo dall’UE. Per alcuni va pure bene l’accordo di uscita che l’attuale Primo Ministro BoJo ha sottoscritto con l’Unione, ma per altri va bene pure il famigerato “No Deal”, cioè l’ipotesi di uscire sbattendo la porta, senza nessun accordo.
2. Quelli che vorrebbero tornare indietro
Il partito Laburista, invece, vede come molto rischiosa questa possibilità. Vuole portare avanti un nuovo negoziato con l’UE, soprattutto in fatto di tutele ambientali e di diritti dei lavoratori. L’accordo, nell’immaginario del partito, dovrebbe essere sottoposto nuovamente a un referendum. Quest’ultimo, però, prevederà un quesito per superare lo stallo di questi ultimi tre anni e mezzo: l’elettore britannico si troverà di fronte a un aut aut. “Approvi questo accordo con l’UE o preferisci rimanere nell’UE?”. Nessuna possibilità di No Deal quindi.
3. Quelli che vogliono assolutamente tornare indietro
Ancora più radicali i LibDem di Jo Swinson. Se otterranno la maggioranza, revocheranno l’articolo 51. Revocheranno quindi la Brexit. Fine delle discussioni: no altri referendum, no altre consultazioni. Spazzeranno via praticamente il risultato e il dibattito pubblico inglese dal 2016 a oggi. E’ però praticamente impossibile che ottengano un successo elettorale così ampio (dicevamo così anche di Trump, quindi, stay tuned) e si sono già dichiarati favorevoli a un secondo referendum.
4. Gli Scozzesi a muso duro
C’è un modo di dire scozzese che recita “I’m going ta skelp yer wee behind” e significa più o meno poeticamente “fare un culo così” a qualcuno. La posizione del partito Scozzese è sinteticamente questa: sono d’accordo con il Labour e vorrebbero un nuovo referendum sulla Brexit. Se però dovessero vincere i conservatori e il paese dovesse abbandonare l’Unione, a quel punto, loro proporrebbero un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia.
Il sistema elettorale
La maggioranza nel Parlamento Britannico si aggira attorno ai 320 seggi e il partito dei conservatori, sempre secondo i sondaggi, dovrebbe ottenere la maggioranza relativa alle elezioni, che però garantirebbe la maggioranza assoluta dei seggi, puntando direttamente alle 330 poltrone su 650. Bisogna però fare i conti con il “first past the post“, il bizzarro sistema elettorale britannico. Si tratta in sostanza di un maggioritario a collegio uninominale, in cui letteralmente “il primo prende tutto”. In ogni collegio vince il candidato che prende anche un voto in più rispetto all’avversario. Ci sono quindi partiti come il LibDem che prendono pochi voti, ma distribuiti in tutto il paese, che pagano lo scotto di questa regola. Sono sottorappresentati rispetto al consenso di cui godono. Il sistema invece, premia partiti molto forti regionalmente, come quello Scozzese. Oggi è il terzo partito più grande del Parlamento, perché si accaparra i seggi del territorio di riferimento, ma è solo il quarto o quinto a livello di consensi nel Paese.
Ma perché si vota di giovedì?
Per ragioni pratiche, il giovedì è il giorno in cui si vota nel Regno Unito da quasi novant’anni. Formalmente, arrivando i risultati nella giornata di venerdì, si ha tutto il weekend per formare un Governo. In realtà, però c’entrano anche i pub. Il giovedì per un lavoratore britannico è come il 26 del mese per un pensionato italiano. Il venerdì è il giorno di paga settimanale e i governanti scelsero in modo oculato di far votare il giovedì per garantirsi elettori sobri, che non dilapidassero il loro stipendio al pub e che arrivassero ai seggi (allestiti per strada) più o meno sobriamente. Si aggiunsero poi altre ragioni storiche: il giovedì era giorno di mercato, quindi dalla campagna molti si spostavano in città ed era più comodo per tutti muoversi una sola volta. Il giovedì era però anche il giorno più lontano dal sermone domenicale con cui il sacerdote avrebbe potuto influenzare i fedeli. Neanche le chiese quindi, erano esenti dall’Election fever.
Qui, per voi, se non l’avete mai vista (shame on you, ndr), la scena madre di Love Actually, con il primo ministro che si scatena al numero 10 di Downing Street.
Qui, per voi, la parodia di un’altra celebre scena di Love actually, che Boris Johnson ha reinterpretato per sollecitare gli elettori a votare i Conservatori. Non un caso che Boris Johnson abbia scelto proprio questo film. E’ un messaggio chiaro agli attacchi diretti che l’attore Hugh Grant gli ha riservato, anche tramite un articolo su The Independent.
Mah.
Elisa Ghidini