Sono passati 10 giorni da quando, a più di tre anni dalla sua ultima apparizione pubblica su un campo da football, il provino di Kaepernick ha catalizzato l’attenzione di tifosi e addetti ai lavori. Nonostante alcune indiscrezioni, ancora nessuna squadra si è fatta avanti per tesserarlo. Ma, allora, il provino è stato un fiasco? Per capirlo bisogna prima ripercorrere le tappe della vicenda che hanno tenuto Kaepernick fuori dal campo di gioco dal 2016 ad oggi.
CK7, professione quaterback
Era il quarterback dei San Francisco 49ers. Giocava nel ruolo più importante e in vista del football americano e indossava la maglia numero 7 di una delle franchigie più amate e cool dell’intera NFL. Era giovane, bello e talentuoso. Colin Kaepernick: CK7, praticamente un brand di successo già pronto e confezionato.
Durante il college Colin aveva giocato ad ottimo livello pure a basket e a baseball. Addirittura nel 2009 venne chiamato per giocare in MLB (il massimo campionato di baseball statunitense) dai Chicago Cubs. Lui però preferì continuare con il football americano. Nel 2011, il momento tanto atteso: i 49ers lo scelgono al secondo giro del draft 2011. Kaep vola in California, per giocare nella squadra che fu del leggendario Joe Montana.
Di Kaepernick colpiscono la stazza e la capacità di corsa, oltre al carattere di uno che vuole spaccare il mondo. Complice l’infortunio dell’allora QB titolare, Smith, Kaepernick entra in squadra all’inizio della stagione 2012. Infila una serie di ottime prestazioni e non lascia più il posto da titolare. È un QB promettente, il primo della nuova generazione di quarterback corridori. La sua lettura degli spazi, la sua velocità e il suo coraggio si rivelano armi alle quali le difese avversarie spesso non sanno come opporsi. Colin è un giocatore nuovo, atipico, e stabilisce svariati record di corsa per un QB. Certo: per gli addetti ai lavori deve migliorare nei lanci e nella lettura delle situazioni di gioco, ma alla sua prima stagione da titolare conduce San Francisco fino al Superbowl (perso di misura contro Baltimora), un traguardo che mancava dal 1994. Il futuro è tutto suo. E allora perché il provino di Kaepernick, da anni senza squadra?
Dalle strade ai campi di football
Colin è figlio di un’italoamericana e di un afroamericano. Il padre si separò dalla madre prima della sua nascita e lui venne adottato da una coppia di afroamericani, Rick e Teresa Kaepernick. È vegano. È molto religioso. Ed è nero. Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, negli USA l’aria è incandescente. Le proteste contro le uccisioni dei neri da parte della polizia, iniziate a Ferguson nel 2014, si intensificano in vista delle presidenziali americane e in seguito ad altre uccisioni. Kaepernick decide che non può più stare a guardare. Durante le partite di preseason inizia la sua silenziosa protesta, restando seduto, o inginocchiato, mentre viene eseguito l’inno nazionale, prima di ogni partita. Il suo gesto non passa inosservato e Colin spiega chiaramente le sue motivazioni alla stampa. Altri atleti, sia neri che non, suoi compagni di squadra e non solo, ne seguono l’esempio. La protesta si espande a macchia d’olio e si scatenano le polemiche. Il culmine della tensione viene raggiunto quando il neoeletto presidente Trump durante una convention in Alabama suggerisce ai presidenti delle società di licenziare tutti i “son of a bitch” che seguono l’esempio del quarterback di San Francisco. Il vicepresidente Pence abbandona lo stadio di Indianapolis prima dell’inizio della partita contro San Francisco, dicendosi “offeso” dai giocatori dei 49ers che si sono inginocchiati durante l’inno. La spaccatura nell’opinione pubblica è netta e intorno a Kaep si parla più di politica che di football. La protesta tocca un nervo scoperto dello scontro ideologico e sociale che percorre tutti gli Stati Uniti.
Kaepernick against NFL
Intanto, la stagione sportiva di San Francisco è travagliata. Il nuovo head coach Cheap Kelly lascia più di una volta Colin in panchina, il quale – per dovere di cronaca – non brilla particolarmente quando viene chiamato in causa, condizionato da vari infortuni. L’anno termina con il desolante record di 14 sconfitte a fronte di solo 2 vittorie. Kelly viene licenziato e il nuovo head coach, Kyle Shanahan, si affretta a dire che Kaepernick non si adatta alle sue idee di gioco. A marzo 2017 Colin rescinde il suo contratto con San Francisco e diventa ufficialmente free agent. Da allora Kaepernick non ha più disputato una partita di NFL. Il suo manager ha affermato di aver contattato tutti i responsabili delle 32 franchigie, uno ad uno, e di aver ricevuto in risposta solo un silenzio piuttosto esplicito.
Nel frattempo Kaepernick ha continuato a battersi per i diritti dei neri e contro le brutalità della polizia, esponendosi in prima persona e sostenendo le associazioni che lottano per queste cause. Ma ha anche citato in giudizio NFL, accusando l’associazione di averlo discriminato. In sostanza ha affermato che in NFL giocano QB ben più scarsi di lui, ma tutte le franchigie si son ben guardate dal dargli una nuova chance a causa delle pressioni della federazione. A febbraio del 2019 la Federazione ha accettato di pagare un risarcimento milionario – a patto di non rivelare i dettagli dell’accordo – pur di mettere a tacere la questione. Fine della storia? Niente affatto.
Finalmente un’occasione?
Colin, in questi anni, ha continuato ad allenarsi come se fosse ancora un giocatore di NFL, sperando di avere l’occasione di tornare in campo. La domanda che i suoi tifosi si sono fatti, in questo lungo periodo, è semplice e diretta: può un giocatore che ha fatto la guerra alla sua Federazione e si è attirato l’ostilità del Presidente degli Stati Uniti tornare in campo in quella Lega e in quella nazione? Nonostante le smentite, le scuse, le indiscrezioni, pareva proprio che l’ostracismo fosse definitivo. Kaepernick non è più “l’ex QB dei 49ers”, l’ultimo a portarli a un Superbowl, ma “quello della protesta contro le violenze sugli afroamericani”.
Martedì scorso, inaspettatamente, l’annuncio della NFL che invitava le 32 squadre a presenziare al provino di Kaepernick. La notizia era arrivata improvvisamente, con un tweet di Adam Schefter, giornalista e insider di ESPN nella NFL. Finalmente una nuova chance? Non proprio.
Sin dall’inizio quello della NFL sembrava più un tranello che un’occasione. Innanzitutto, secondo le indicazioni della Federazione, il provino si sarebbe svolto di sabato, un giorno in cui gli allenatori sono impegnati nella preparazione delle partita del giorno successivo: al workout di Kaepernick avrebbero perciò potuto presenziare solo osservatori di secondo piano. Inoltre non sarebbe stata ammessa la stampa: un provino rigorosamente a porte chiuse. Infine, l’annuncio è stato fatto solo quattro giorni prima della data fissata inderogabilmente: un tempo terribilmente breve per prepararsi a quella che dovrebbe essere la grande occasione di rientrare nel giro. A tanti è parso più un modo per buttare la palla nel campo avversario. Come a dire: “noi l’occasione te l’abbiamo data, se non trovi una squadra non puoi più dare la colpa a noi”. Il comunicato della NFL non ammetteva trattative o repliche. Prendere o lasciare. Colin ha preso, ha raccolto la sfida: “da tre anni sono pronto per questo momento: non vedo l’ora di incontrare head coach e general manager”.
Com’è andato il provino di Kaepernick?
Sabato scorso ad Atlanta però non c’erano né head coach né general manager, visti gli impegni del giorno successivo. Si sono però presentati gli osservatori di 25 team. E c’erano tanti tifosi, divisi tra pro-Kaep e contro-Kaep: un piccolo sunto di una nazione ancora spaccata in due dalle questioni razziali. Inaspettatamente, l’entourage di Kaepernick ha sparigliato le carte e ha comunicato un cambio di programma: ‘ci vediamo tra un’ora al campo qui vicino e il provino di Kaepernick sarà aperto a tutti’. La questione fondamentale era proprio quella: a porte chiuse, senza osservatori imparziali, il provino rischiava di essere una farsa, con la narrazione tutta in mano alla Federazione.
La NFL ha preso atto del cambio di programma e si è detta amareggiata. Le condizioni, a loro dire, erano chiare fin dall’inizio, anche se nessuno ha spiegato perché volessero proprio un provino a porte chiuse. Solo 7 squadre hanno seguito il “ribelle” e hanno mandato i loro scout al nuovo appuntamento: Philadelphia Eagles, Kansas City Chiefs, New York Jets, Washington Redskins, San Francisco 49ers, Detroit Lions e Tennessee Titans. In compenso, tutti hanno potuto vedere le immagini di un Colin in buona forma, agli stessi livelli, o quasi, di quando ha giocato l’ultima partita in NFL, tre anni fa. Dopo qualche esercizio di riscaldamento, ha lanciato e corso simulando diverse situazioni di gioco: sul lungo, sul corto, rapido o aspettando lo smarcamento dei ricevitori. Mancano alcune indicazioni, ovviamente: quelle che si possono ricavare solo ricreando situazioni di gioco in allenamenti fatti con i compagni di squadra. Proprio ciò che al QB è impedito da anni.
Ma quindi, nonostante fosse una chance “truccata” – o forse proprio per quello – la domanda che in molti si sono fatti è stata: perché la NFL ha organizzato il provino di Kaepernick? In mancanza di spiegazioni ufficiali, le ipotesi più accreditate sono due. Per alcuni la Federazione, temendo un’ulteriore causa da parte di Colin, si è voluta mettere al riparo da ogni guaio, anche di fronte all’opinione pubblica. Forse speravano che, date le circostanze e le restrizioni imposte, il giocatore passasse la mano. Altri invece ritengono che ci siano – e ci fossero anche in passato – team realmente interessati all’ex QB di San Francisco. I loro manager però, senza la protezione della Lega, non volevano esporsi in prima persona tesserando un personaggio così al centro delle polemiche. Il provino di Kaepernick organizzato dalla NFL avrebbe così legittimato i club a fare le loro mosse. Le faranno? Per ora tutto tace.
È davvero una questione solo politica?
In questi anni di polemiche attorno a Kaepernick, la questione razziale e ideologica è sempre stata al centro del dibattito. Ma, pensando alla NFL, dobbiamo comunque ricordarci che è il campionato sportivo più ricco del mondo. Generare profitto è la prima regola e il primo obiettivo della Federazione. È vero: il legame tra football americano e spirito nazionalista è da sempre piuttosto forte. La tendenza è però aumentata nelle ultime stagioni. Infatti, da alcuni anni, il Dipartimento della Difesa versa contributi alle franchigie della NFL a scopo di marketing e propaganda. Gli show dell’aeronautica militare USA nel prepartita, i posti speciali riservati ai veterani, i saluti dei giocatori ai militari, prima degli incontri, l’esecuzione degli inni, le enormi bandiere a stelle e strisce che ricoprono il campo prima dell’inizio della partita… un patriottismo a pagamento, finanziato coi soldi dei cittadini americani, che non ha mancato di suscitare qualche polemica. Dopo la rivelazione che, solo tra il 2011 e il 2016, il Dipartimento della Difesa ha investito in propaganda in ambito NFL 6 milioni di dollari, le proteste non sono mancate. Tanto che la Federazione si è sentita in dovere di restituire 723.000 USD ricevuti come sponsor dalla Difesa.
Nella patria del capitalismo, forse non si sbaglia di molto ipotizzando che, più che il timore di inimicarsi la parte di tifosi più conservatori, i team avessero paura, tesserando Kaepernick, di perdere parte di quegli introiti. Qualcuno, addirittura, potrebbe far notare che il coach che ha tagliato Kaepernick, Kyle Shanahan, provenisse dagli Atlanta Falcons, il team che più di ogni altro ha incassato sponsorizzazioni dal Dipartimento della Difesa.
“Sono pronto, smettete di scappare”
La questione non è ancora chiusa. L’ex QB di San Francisco non ha ancora un nuovo ingaggio e le polemiche continuano. Le testate giornalistiche sportive statunitensi stanno analizzando la performance di Colin nel provino di sabato e provano a ipotizzare quali delle franchigie presenti al provino di Kapernick potrebbe avere bisogno di lui. Anche Tom Brady, leggendario QB dei New England Patriots campioni in carica (peraltro notoriamente vicino ai conservatori), ha dato il suo sostegno a Kaepernick, esprimendo la sua ammirazione per l’ex QB di San Francisco e la speranza che gli venga data l’opportunità di rientrare nel giro. Qualcuno gli darà ascolto? Nel frattempo, senza dubbio, Colin non si arrenderà: magari non gli daranno più la possibilità di lottare per il successo sul campo, ma di sicuro, fuori dal campo, continuerà a battersi contro le violenze subite dagli afroamericani negli USA.
Il provino di Kaepernick, per quanto solo parzialmente probante, è dunque andato abbastanza bene dal punto di vista sportivo. Lui si è detto pronto a giocare, ovunque gliene verrà data la possibilità. Rivolgendosi agli scout presenti al workout di sabato ha affermato:
“dite ai vostri General Manager che sono pronto. Ditegli di smettere di avere paura, di smettere di scappare dalla verità”
Anche se tutt’ora sembra difficile da ipotizzare e il silenzio di tutte e 32 le franchigie a distanza di dieci giorni non fa ben sperare, i veri tifosi di football americano e anche quelli che fanno il tifo, innanzitutto, per i diritti umani sperano sempre di rivedere presto Kaepernick in campo.
Simone Sciutteri