Il buco dell’ozono negli ultimi mesi è diminuito, come hanno riportato i dati raccolti da Nasa e Noaa. A settembre contava 16 milioni di chilometri quadrati. Ora solo 10 milioni di chilometri quadri (grande quanto l’Europa).
Il buco dell’ozono è ai minimi storici. Sono i risultati dei dati raccolti dalla Nasa e dall’Ente sull’atmosfera e gli oceani degli Stati Uniti (Noaa). Le ricerche sono state condotte sfruttando tre satelliti: Aura, della Nasa, del 2004, lanciata per studiare l’ozonosfera e la qualità dell’aria; Suomi-Npp, sonda realizzata in collaborazione Nasa-Noaa, nel 2001, per tenere sotto controllo l’ozono, e Jpss-Noaa, 2017, della Noaa, per misurare la stratosfera e i livelli di cloro, prima tra le minacce per la salute sul buco dell’ozono. Le ricerche sono state condotte in Antartide, la zona a sud dell’emisfero in cui si forma il buco dell’ozono.
I dati spiegano come il buco dell’ozono si sia ridotto, raggiungendo minime riscontrabili solo nel 1982. Al momento è di 10 milioni di chilometri quadrati, grande quasi quanto l’Europa, rispetto ai 16 milioni di chilometri quadrati misurati l’8 settembre. Un anno fa era di 22,9 milioni di chilometri quadri. Il diametro raggiunto tra il 7 settembre e il 13 ottobre di quest’anno è il più basso dal 1983, quando si registrarono 7,9 milioni di chilometri quadrati.
Che cos’è l’ozonosfera (e perché è importante)
Prima di spiegare le motivazioni, cerchiamo di chiarire cos’è l’ozonosfera. Il Pianeta, come sappiamo, ha attorno diverse atmosfere gassose. Tra queste vi è l’ozonosfera, la parte bassa della stratosfera, che si trova tra i 15 e i 35 chilometri di altitudine, ed è lo strato dell’atmosfera in cui è presente la maggior parte dell’ozono. L’ozono è un particolare gas serra fondamentale per la terra, poiché riesce a filtrare la maggior parte dei raggi ultravioletti provenienti dal sole. Tuttavia, sostanze chimiche quali cloro e bromo vanno a danneggiare l’ozonosfera, portandola ad assottigliarsi venendo anche meno al suo compito di trattenere i raggi ultravioletti.
Con l’aumentare del calore, riscalda ulteriormente la superficie terrestre, ne subiscono i danni sia gli organismi animali che i vegetali: danni a piante e animali, ma anche l’uomo subisce con l’aumento di carcinomi, cecità da neve e cataratte. L’assottigliarsi di questo strato di gas va a creare dunque il buco dell’ozono che si forma sul continente freddo per diverse ragioni tra le quali il vortice di venti freddi alla fine dell’inverno australe.
Difatti, è proprio sul continente freddo che si innescano le reazioni che distruggono le molecole e viene promossa la formazione di grandi quantità di cloro molecolare gassoso (Cl2) che origina dai clorofluorocarburi (CFC). Tuttavia, nel 1987 fu firmato il Protocollo di Montréal, che imponeva la progressiva riduzione di CFC. Nell’88, il buco dell’ozono apparse anche sopra il Polo Nord. A quel punto, più di 90 paesi nel 1990 decise di sospendere la produzione di gas Cfc. Eppure, secondo gli esperti, solo nel 2070 l’ozono potrebbe tornare alla normalità, registrata nel 1980. Con i recenti studi, si è scoperto come, ad alte temperature, i cfc possono essere “diminuiti”.
La riduzione per via delle alte temperature
Sebbene sia un’ottima svolta, gli esperti ritengono che sia una novità solo parzialmente: “E’ un’ottima notizia per l’ozono nell’emisfero australe”, riconosce Paul Newman, del Goddard Space Fight Center, “ma bisogna riconoscere che ciò è dovuto alle temperature di quest’anno nella stratosfera”. Lo studioso ha aggiunto:“Non è un segno che l’ozono atmosferico è improvvisamente sulla buona strada per il recupero”, ha ammesso.
Nella fascia dove c’è l’ozono, 19 km sopra la superficie terrestre, le temperature ad inizio settembre hanno registrato una media di 29 gradi. Le più alte mai registrate negli ultimi anni (dati NASA). Secondo gli esperti, è la terza volta in 40 anni che i sistemi meteorologici hanno temperature così calde, tali da riuscire a limitare l’esaurimento dell’ozono. Nel settembre 1988 e nel 2002 infatti, si sono riscontrati buchi di ozono molto inferiori rispetto alla media. Eppure, secondo gli studiosi, solo nel 2050 l’ozono potrebbe tornare alla normalità, ovvero una cerchia media e non preoccupante di poche migliaia di chilometri registrati nel 1980.
Anna Porcari