Un futuro complesso all’orizzonte.
Negli ultimi dieci anni, la situazione è peggiorata e le cifre triplicate: dal 3,7% (2008, pari a 375.000) al 12,5% (2018); 563.000 nel mezzogiorno, 508.000 al nord e 192.000 al centro. Le conclusioni di Save the Children fanno davvero paura, se si considera i risvolti sociali materializzatesi. L’Italia non ha un piano strategico indirizzato alle generazioni attuali e future; la qualità della vita mette in difficoltà i nuclei familiari, sia per ciò che concerne le spese che l’accesso ai servizi di base. Da nord a sud, il disagio si avverte, a discapito di cittadini che non intravedono il bisogno nazionale di reagire.
La natalità in calo resta uno dei problemi principali. Se nel 2008 i minori erano rappresentati dalla percentuale 17,1%, nel 2018 si assiste ad un calo del 16,2%. I dati sottolineano un “bug antropologico” allarmante, conteso tra due elementi fondamentali: in primis, la sfiducia verso il bacino economico familiare si è ormai diffusa a macchia d’olio; chi voleva avere figli cambia idea per ragioni di spesa, mentre altri se ne tengono alla larga.
In secondo luogo, la cosiddetta “fuga dei cervelli” non sottolinea solo un parametro prevalentemente culturale e di forza lavoro, ma certifica una forma mentis in cui vige la “sicurezza estera”; costruirsi una vita fuori dal paese sembra ormai la scelta più ovvia.
Parlando di cultura e fuga di cervelli, non può mancare la crisi scolastica. Le informazioni condivise dall’OCSE evidenziano una spesa (istruzione e università) equivalente al 3,6% del Pil; un punto e mezzo in meno rispetto alla media dei paesi OCSE. Per non parlare delle spese attinenti al materiale scolastico, di cui si attende ancora un aggiornamento sensato.
Insomma, Save the Children non si fa scappare nulla: i dati riportati sono solo alcuni derivati del suo Atlante.
La problematica presente è il mancato sguardo al futuro, più che altro per ciò che riguarda le “precauzioni”.
Sino a questo momento, le manovre politiche in atto tendono a concentrare le proprie energie su obiettivi e dialettica fortemente populiste, molto lontane dalla realtà. Cosa intendo: alla base di tutto questo, resta vigente lo spettro della crisi, la quale persiste sulle spalle della comunità; da un punto di vista psicologico, l’atto di migliorare la propria dimensione a beneficio nazionale resta un’incognita senza fondamento, preceduto dal bisogno di evadere da un sistema in caduta libera.
E se ciò non è possibile, farsi i conti in tasca propria – biasimabile fino a un certo punto, benché ci rientrino fenomeni come l’evasione fiscale. Eppure, una conseguenza quasi matematica, al di là dell’etica in ballo.
Se il politico – nel senso generale del termine – promette “meno tasse” e “più lavoro”, mente in partenza; le dinamiche interne attuali pretendono invece un graduale recupero, che passi anche dal bisogno di fondi – congelandone meno; la possibilità di lavoro è una conseguenza anch’essa matematica, non un regalo sotto l’albero. Le condizioni economiche vigenti non delineano soluzioni specifiche per chi vuole muoversi nel privato, per chi detiene una piccola impresa o simili.
La mentalità che sta prendendo forma, dalle fattezze di “mai una gioia”, svilisce pesantemente il panorama attuale e la voglia di mettersi in gioco; nonché, per l’appunto, la previsione di una generazione capace di risollevare le sorti.
Non stupiscono gli studenti che spariscono dallo stivale, non stupiranno i ragazzi che, in futuro, cercheranno lavoro direttamente all’estero, a prescindere dall’avere un percorso di studi o meno. Il disegno europeo – più che altro la sua ombra – sbeffeggia clamorosamente i tentativi di riscatto italiano, esattamente come si prendono le distanze da una barzelletta già sentita troppe volte. Siamo all’interno di una spirale, alimentata da un paese già anziano per suo conto. La bella cartolina italiana non è mai stata sinonimo di apparenza come oggi.
Eugenio Bianco