Erdogan ha dato inizio all’invasione dei territori curdi della Siria del Nord, Rojava, al fine di liberare il confine tra la Turchia e la Siria dalle milizie controllate dal YPG (Unità di Protezione Popolare), a suo dire pericolosi terroristi.
L’esercito turco ha bombardato il confine lungo una linea di 300 chilometri, spingendosi fino a 50 chilometri di profondità, impiegando forze di artiglieria, bombardamenti aerei e truppe di terra, mentre gli scontri sul campo si stanno concentrando sulle zone di Tell Abyad e Ras Al Ain. Il ministro della difesa turco ha dichiarato di aver colpito 181 obiettivi a est del fiume Eufrate, in un’operazione che è già costata la vita a centinaia di persone, e sta costringendo centinaia di migliaia a scappare verso Raqqa. L’attacco ha avuto inizio mercoledì 9 ottobre, dopo che Trump aveva dichiarato di aver dato ordine di ritirare le truppe statunitensi presenti nell’area, permettendo a Erdogan di agire indisturbato.
Sebbene Trump abbia minacciato Erdogan di distruggere l’economia turca, nel caso in cui la Turchia si spinga “off limits”, cioè oltre i limiti di ciò che Trump ritiene essere gli interessi americani, il ritiro delle truppe Usa è un segnale evidente di compiacenza. Ugualmente, Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, ha affermato di fare affidamento sulla Turchia affinché ogni azione rimanga “proporzionata a misurata”. Inoltre, ogni distanziamento da parte dell’Europa è stato prontamente neutralizzato da Erdogan, che ha avuto buon gioco a ricordare gli accordi tra Turchia e Ue sull’immigrazione, e minacciare di “invadere” l’Europa con i profughi siriani.
Erdogan ha giustificato l’attacco dicendo di voler creare una zona sicura per rimpatriare i profughi siriani presenti sul territorio turco e combattere i “terroristi” curdi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Eppure, le milizie dell’Esercito Democratico Siriano, controllate dal PKK, sono state la principale forza sul campo contro l’Isis, mentre proprio in queste ore la Turchia ha bombardato parte del carcere di Chirkin vicino a Qamishli, la capitale del Rojava, dove vengono detenuti numerosi militanti dell’Isis, permettendo così loro di fuggire.
Non sarebbe, in effetti, la prima volta che Erdogan utilizza l’Isis in funzione anti-curda, avendo fatto spesso ricorso ai servigi terroristici del califfato e dei fondamentalisti contro i movimenti di lotta in Turchia, ad esempio negli attentati di Suruc e Ankara nel 2015. Poco dopo l’annuncio dell’attacco di Erdogan, truppe dell’Isis hanno attaccato il territorio curdo. Erdogan non ha alcuna intenzione di combattere i veri terroristi, almeno nella misura in cui non intaccano i suoi interessi, e anzi ne fa un uso proficuo come forze ausiliarie illegali. I principali obiettivi dell’attacco al Kurdistan siriano sono 1) il rafforzamento del ruolo della Turchia in Siria attraverso il controllo sulle milizie dell’Esercito Libero Siriano, ma soprattutto 2)il rafforzamento di Erdogan stesso in Turchia.
Da quando la Turchia ha rallentato la propria espansione economica e proteste di massa come quella di Gezi Park nel 2013 hanno manifestato il malessere crescente nella società, la strategia di Erdogan per rimanere al potere è sempre stata quella, piuttosto tradizionale, di trovare un nemico esterno per ricreare l’“unità nazionale”, ovvero la pace sociale. Non è un caso che il nome dell’operazione in corso sia “Operazione Sorgente di Pace”. Quando il partito di sinistra radicato tra i lavoratori curdi, l’Hdp, ottenne un certo successo elettorale nelle elezioni del giugno 2015, Erdogan temette che sarebbe potuta nascere una potente opposizione a partire dall’unità dei lavoratori curdi e dei lavoratori turchi, in un momento in cui si assisteva a scioperi importanti.
Per neutralizzare l’opposizione, Erdogan diede inizio a una feroce guerra civile contro i curdi, impiegando sia l’esercito regolare che i terroristi islamici, in un conflitto che di fatto non si è mai interrotto. Per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica l’attacco ai curdi e ripulire l’apparato statale da eventuali contestatori, nel 2016 Erdogan mise in scena o sfruttò abilmente un tentativo di colpo di stato, coprendo così le rappresaglie militari e l’arresto dei dirigenti e militanti dell’Hdp. Tuttavia, il gioco di Erdogan non sembra durare più di tanto. Alle elezioni di quest’anno, il partito di Erdogan ha perso a Ankara e a Smirne, e a Istanbul, dove ha fatto annullare le elezioni, ha perso due volte. Con l’attacco alla Siria, Erdogan sta replicando il medesimo copione.
Gli analisti prevedono che l’operazione non durerà più di due settimane e dovrebbe portare all’occupazione di una striscia di territorio al confine. Gli Stati Uniti sono ben contenti di una Turchia arrogante che sappia controbilanciare l’Iran, ma non possono permettersi un nuovo impero ottomano, se mai sia possibile una cosa simile. Questo è il senso delle parole di Trump e di Stoltenberg. Le autorità della regione autonoma del Rojava hanno dichiarato che resisteranno con ogni mezzo all’attacco turco. Dopo aver sconfitto il fascismo islamico, i curdi devono ora fare i conti con l’imperialismo turco.
Francesco Salmeri