Con un golpe ai danni di una sprovveduta Isabel Peron, i tre capi delle Forze Armate argentine (Esercito, Marina e Aeronautica) si presero il Paese con la forza. Il 24 marzo 1976 le paure di un popolo stremato dalla crisi politica ed economica diventarono realtà. Bisognerà aspettare la sconfitta delle Falkland per vedere cadere il regime.
Nel frattempo, l’assolata Argentina sprofondò all’Inferno.
DESAPARECIDOS: UN INCUBO AD OCCHI APERTI
Torture, percosse e violenze spesso concluse con una morte atroce. La guerra sucia (“sporca”, in tutti i sensi) aprì un baratro infernale che risucchiò oltre 30.000 persone. Il folle processo di riorganizzazione nazionale ideato dai vertici delle Forze armate argentine puntava inizialmente ad estirpare ogni oppositore politico. Ben presto la caccia all’uomo si estese a chiunque fosse semplicemente ritenuto un potenziale disturbo. Per citare le parole del generale Rafael Videla: “prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi”. Nessuna pietà, nemmeno per i bambini, come tragicamente testimoniato dalla noche de los lapices. Ma in quegli anni al peggio non c’era fine.
Durante gli anni bui della dittatura militare argentina (1976-1983), al mondo furono tenuti abilmente nascosti gli orrori compiuti nella calda terra dei gauchos, ormai inzuppata da fiumi di lacrime e sangue innocente. Il regime non commise lo sbaglio del vicino dittatore cileno Pinochet, il cui clima di terrore balzò subito agli occhi della comunità internazionale. La segretezza, la riservatezza e la rapidità furono gli ingredienti mortali del regime di Videla e dei suoi “degni” successori. I militari e i funzionari del regime sequestravano le vittime sistematicamente. A casa, sul lavoro, di giorno, di notte. Ovunque e comunque. Ma la segretezza regnava sovrana. Queste persone semplicemente “sparivano” (da qui la triste fama dei desaparecidos) senza lasciare traccia. Ai coraggiosi familiari in cerca di notizie poteva andar bene se semplicemente i funzionari del regime avessero taciuto e basta. Spesso chi cercava la verità dei propri cari scomparsi, ne condivideva la sinistra sorte.
LE MADRI (E LE NONNE) DI PLAZA DE MAYO
La Casa Rosada, ovvero il palazzo presidenziale argentino da cui i diabolici generali dirigevano il loro regno mortale, era letteralmente la tana del leone. Nonostante ciò, nell’aprile del 1977 un gruppo di donne sfidò apertamente il regime, sotto i suoi crudeli occhi di fuoco. Si trattava delle madri degli sventurati desaparecidos in cerca di risposte, di giustizia, di un barlume di luce. Le madres iniziarono a riunirsi regolarmente in Plaza de Mayo, piazza principale di Buenos Aires dove sorge anche il palazzo presidenziale. La decisione delle 14 donne che parteciparono alla prima manifestazione nacque dal dolore comune e dalla reciproca sete di verità. La prima a pagare con la vita fu proprio una delle ideatrici della protesta, nonché tra le fondatrici dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo. Azucena Villaflor fu sequestrata a dicembre dello stesso anno e portata nella famigerata ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada), uno dei luoghi simbolo della follia del regime. Probabilmente morì con uno dei terribili “voli della morte”, in quanto nel 2005 furono attribuiti a lei alcuni resti umani ritrovati sulle coste argentine. Fin dall’inizio del movimento delle madri e delle nonne il loro simbolo è diventato il caratteristico fazzoletto bianco indossato durante le proteste.
Nel 1986 l’associazione subì una scissione causata dai dissidi interni legati ai risarcimenti economici offerti alle madri dall’allora presidente argentino Raul Alfonsin. L’associazione originaria (che cambierà nome in Madres de Plaza de Mayo – Línea Fundadora) continuerà la sua opera esattamente come la nuova entità nata dalla scissione, Asociación Madres de Plaza de Mayo, seppur con linee d’azione diverse. Quest’ultima, a differenza dell’associazione originaria, si è data un indirizzo politicamente attivo di stampo marxista. Sempre nel 1977, quando iniziarono le proteste, nacque un’altra associazione che condivideva la stessa causa delle madri dei desaparecidos, ma indirizzata a far luce su un altro dramma del regime: quello dei bambini privati della loro vera identità. Si trattava delle Nonne (abuelas) di Plaza de Mayo, alla struggente ricerca dei nipotini perduti.
VITTIME DI IERI E DI OGGI
Oltre all’eliminazione fisica dei presunti oppositori, un altro aspetto terribile della tragedia argentina fu quello delle adozioni forzate. I figli dei desaparecidos in più occasioni venivano prelevati dagli stessi carnefici dei loro genitori, e affidati a sostenitori del regime. Nei casi peggiori i bambini erano trattenuti direttamente dagli stessi aguzzini. A questo scenario infernale si aggiunse il rapimento di migliaia di donne incinte, costrette a partorire in condizioni di violenza psicofisica e successivamente uccise. Anche in questo caso ignari neonati sarebbero cresciuti nella menzogna. Su questo fenomeno è stata particolarmente incisiva l’azione delle madri di Plaza de Mayo, oltre che delle abuelas. Infatti l’associazione non si è limitata solo alla protesta e alla ricerca della verità sui misfatti del regime.
Assistenza sia investigativa che legale è stata fornita a quelle persone che sapevano (o credevano) di avere discendenti perduti presso famiglie legate al regime. A queste donne coraggiose si sono rivolte anche persone dubbiose sulle proprie origini, in quanto nate negli anni della dittatura e magari perplesse da dinamiche familiari alterate. Ancora oggi, a distanza di diversi decenni, questo lavoro non si è ancora concluso. Uomini e donne ormai adulti scoprono la verità sulle loro origini grazie a rilievi biologici, esami e riscontri documentali. Naturalmente la vita di queste persone viene completamente stravolta, e non sono mancati casi limite nei quali nonostante la crudele verità, la vittima ignara abbia comunque preferito restare con i suoi genitori “adottivi”.
Mario Rafaniello