Accadde il 4 giugno del lontano 1989. In quei giorni il sole splendeva alto nel cielo, i fiori sbocciati portavano i segni di una primavera appena trascorsa, lasciando ampio spazio ad una torrida estate.
Ma la bellezza floreale mostrava i segni di una primavera turbolenta, sembrava quasi che i tulipani piangessero gocce di rugiada dai timidi petali. Era la primavera cinese.
Non sono trascorsi molti giorni da quando, distrattamente, udii al telegiornale la notizia: si è celebrato, tre giorni fa, l’anniversario della primavera cinese, delle sommosse di piazza Tienanmen.
Si parla di 27 anni fa, di manifestazioni studentesche, come ce ne sono state tante, nella storia del nostro Pianeta. Si tratta di libertà rubate, di richieste totalmente ingenue ed innocenti, da parte di un pugno di studenti. Sarebbe bastato un po’ di buon senso, forse, per evitare l’Apocalisse.
“Vietato ricordare la manifestazione pacifica per la democrazia di Piazza Tienanmen del 1989”.
VIETATO RICORDARE.
Termini accostati che nascondono il retrogusto di un divieto, quanto mai assurdo e contraddittorio. Amaro in bocca.
27 anni dopo il governo cinese non è sufficientemente maturato per affrontare la sua storia; la paura del passato brucia come fuoco vivo nelle coscienze cinesi. Non sono bastati 27 anni, e alla luce di tale divieto, sembrerebbe quasi che il sangue sparso sui petali dei fiori di quella maledetta primavera, sia valso a nulla. I ricordi sono vietati, la nomenclatura di Pechino vuole fare un lavaggio del cervello, eliminare dalla memoria dei suoi cittadini quel lontano 4 giugno del 1989, come se non fosse mai esistito.
Cancellare il sangue con un colpo di spugna; così, come si fa con una macchia di caffè.
Ma esistono macchie che più tenti di rimuovere, più si allargano, sbiadiscono, ma non se ne vanno. Indelebili.
Fin da bambini, una buona educazione ci insegna che è buona cosa ammettere le proprie responsabilità. In questo caso il governo cinese dimostra, a distanza di ben 27anni, vigliaccheria e immaturità.
Presa dalla mia ossessiva curiosità mi sono immersa nella storia cinese, ho vissuto e respirato a pieni polmoni la rivoluzione, leggendola tra le righe. Ho avvertito sulla mia pelle la crisi, il caos più totale nel quale affogava il popolo cinese,il bavaglio forzato imposto dal comunismo, e quelle flebili voci, che unendosi si facevano via via più forti ed insistenti.
“Abbasso la rivoluzione, viva la democrazia, viva la Cina”.
Non chiedevano altro che rispetto, per le loro idee, per le loro giovani menti. Volevano essere ascoltati, avere più voce in capitolo, sulle scelte future del Paese.
Un gruppo di ragazzi in protesta, come ce ne sono stati tanti, nella storia del nostro Pianeta, occupano piazza Tienanmen, aspettando un riscontro, una risposta, da parte del governo cinese; che, dal canto suo, osserva la vita scorrere ai suoi piedi, paralizzato in un’immobilità irreale ed estremamente inquietante. Il mondo, intanto, assisteva impotente, scorrendo i fatti lungo le pagine dei quotidiani locali, che a loro volta trovavano sulla carta stampata la loro arena più infuocata.
Il Pianeta restava in silenzio. Un silenzio assordante ed irreale. Sgomento e terrore. Lontano, in altri continenti, si attendeva una svolta, con il fiato sospeso, durante questa quiete prima della tempesta. I quotidiani italiani tentavano di darsi delle risposte, di informare i lettori, senza creare allarmismi, confinando, ancora per un po’, l’imminente Apocalisse nelle pagine degli esteri.
La temperatura inizia a salire, il mercurio liquido impazza nel termometro, il giorno successivo, il 3 giugno, quando giunge d’oltreoceano la notizia di un fallimentare tentativo da parte dell’esercito, di “liberare” la piazza dagli studenti.
E’ interessante, giunti a questo punto, lasciar respirare un po’ di quella rivoluzione anche a voi, attraverso le pagine della mia amata carta stampata.
Il “Corriere della sera” titola a tutta pagina:
“Dopo 20 giorni di attesa il regime cinese tenta la resa dei conti, e la popolazione torna compatta nelle strade. L’esercito attacca gli studenti, ma nella notte, un milione di persone impedisce ai soldati di espugnare la Tienanmen. L’offensiva è scattata da 4 diversi punti della città, con truppe apparentemente disarmate. La gente canta l’inno nazionale e lancia slogan di amicizia verso i soldati. Una dura resistenza.”
Impossibile non abbozzare un timido sorriso, leggendo tali lettere stampate su carta. Un sentimento di pace e fratellanza nasce dal profondo delle mie viscere, risale lentamente la regione cardiaca, sbocciando come una primavera fiorita. Quella primavera fiorita.
Ma la primavera cinese riserva tutt’altre sorprese, e dai termini utilizzati dalla testata giornalistica, per spiegare il fenomeno ai lettori, si realizza immediatamente il carattere belligerante della rivoluzione. L’immobilismo del governo cinese puzza. E appare ormai chiaro che non ci saranno vincitori, ma solo vittime della bestialità umana.
Un’altra valutazione importante dell’accaduto appare su “Il Giornale”. Tra le righe leggiamo:
“La volontà di protesta, la manifestazione alla luce del sole di un profondo disagio sociale, sono state le grandi vittorie degli studenti cinesi. I ragazzi non hanno perso, per il semplice motivo per cui non hanno mai combattuto per vincere. Tutto quello che chiedevano era un po’ di rispetto, da parte di un partito che, combinando privilegi e cinismo, di rispetto per la gente comune non è sembrato averne mai molto. Hanno vinto perchè sono stati capaci di mostrare al regime che la gente è scontenta di come vanno le cose”.
Poco importa, dunque, se tanta ingenuità, semplicità e buona volontà di un pugno di studenti, è esplosa, come un palloncino gonfiato di troppo odio, fino all’esasperazione, inondando la capitale cinese di fresco sangue. Il sangue di quella parte di popolazione che avrebbe dovuto rappresentare il futuro del Paese, che è stato invece zittito. Eliminato. La Cina si macchia di vergogna e viscere umane. Una macchia indelebile, che puoi lavare finchè vuoi, ma non se ne andrà mai.
“Notte di guerra a Pechino. Morti a decine, barricate, incendi. I carri armati raggiungono Piazza Tiananmen, scontri a mani nude con i militari”.
Il governo cinese si è mosso nel modo più subdolo e meschino possibile, schierandosi contro il suo popolo. Annientandolo. Si è mosso contro la storia, invertendo il senso di marcia di un processo democratizzante.
Ancora una volta ad avere la meglio sull’umanità sono le armi.
Hanno perso tutti. Lo sdegno è unanime, il mondo assiste, impotente, pervaso da un sentimento di sgomento e aberrazione, in vista dell’ultima feroce repressione di un regime comunista.
Il bilancio è di circa 7000 civili morti.
Non credo si possano descrivere i sentimenti che mi nascono dentro, leggendo le testimonianze di una primavera, che schiudeva gli ultimi petali, morendo miseramente. Un gruppo di giovani studenti, che non chiedevano altro che un po’ di libertà. Fragili vite appese ad un filo invisibile, tenute in piedi dalla speranza; corpi stremati che corrono incontro alla morte, bloccando a mani nude camion e carriarmati, per portare avanti i loro ideali. Fino alla morte.
Sono passati 27 anni. Tanta acqua è sfumata nei nostri mari, trascinandosi dietro altro sangue innocente. Passano gli anni, ma la natura dell’uomo arranca dietro ad una disumanità sempre più disarmante. Ciò che è successo sulle strade di quel lontano 4 giugno, è sufficientemente chiaro, all’Opinione occidentale. Studenti innocenti e disarmati sono stati freddati in massa. Il suono della guerra avvinghiava la popolazione, l’odore della morte si espandeva, soffocando la libertà.
Accadde il 4 giungo 1989, sono quasi 30 anni.
Un annata turbolenta, segnava la fine di un decennio caotico e confuso. Pensandoci si ricorda principalmente la caduta del muro di Berlino, avvenuta 5 mesi dopo.
La rivolta degli studenti in piazza Tiananmen a Pechino, immensa e perturbante, come un’opera surrealista, scivola nell’anonimato, soffocata nelle coscienze di un governo che, ossessionato ancora oggi dalla stabilità, decide di dimenticare il sangue versato dal suo popolo, che macchiò per sempre piazza Tienanman.
La domanda, ora, appare legittima, scivolandomi via, dalle labbra socchiuse:
questa sacrostanta libertà, l’abbiamo forse ottenuta?
Elisa Bellino