Di Alfonso Celotto
Da decenni contestiamo la crisi di rappresentanza del nostro modello costituzionale. Proponiamo referendum. Discutiamo di riforme. Eppure i cittadini continuano a non sentirsi rappresentanti dal Parlamento e nemmeno degli Enti locali. I partiti hanno perso il loro ruolo di intermediazione e collegamento.
La democrazia rappresentativa rischia sempre più di perdere la partecipazione dei cittadini, come emerge da dati inequivocabili, come l’astensionismo o la disaffezione.
Per comprendere meglio le ragioni di questa “crisi” va considerato un dato sulla rappresentatività del Parlamento.
Nel 1861 l’Italia aveva 22.176.477 di abitanti. Il voto era limitato ai soli maschi di almeno 25 anni, alfabetizzati e di un censo elevato (per pagamento di imposte o appartenenza a determinate categorie). Così erano iscritti alle liste elettorali in 418.695 e i votanti alle prime elezioni italiane furono 239.583: praticamente il 2% di aventi diritto e 1% di votanti. Eleggendo, su 443 deputati, un centinaio di nobili e il resto di alta borghesia e militari.
Questo dato è molto interessante per confrontarlo con quello attuale.
Nel 2013 l’Italia ha 60.782.668 di abitanti. Gli iscritti alle liste elettorali, in ragione del suffragio universale, sono 46.905.154, i votanti alle politiche 35.270.926. In pratica ha avuto diritto al voto il 77,1 della popolazione e ha votato il 58.2 della popolazione (degli elettori il 75,2%), per eleggere 945 fra deputati e senatori.
Il modello della forma di governo, invece, strutturato sulla divisione dei poteri e la rappresentanza è – in buona sostanza – analogo. Allora come ora. Ma il divario nei numeri è così eclatante che non hanno bisogno di commento. Anzi, ad aggravare la “diluizione” della rappresentanza va considerato quanto oggi sia diversa la nostra società da quella ottocentesca, con lo sviluppo dei mezzi di trasporto, di comunicazione, di informazione, della cultura, e così via.
Ecco, allora la domanda ineludibile, il vero “nodo” della democrazia: possiamo pensare di far partecipare i cittadini alla forma di stato e di governo ancora con i meccanismi dello Stato ottocentesco?
Mi pare che sia la domanda centrale che deve porsi il diritto costituzionale in questi anni. E che invece viene spesso lasciata ai margini del dibattito.
E-democracy, E-partecipation, E-voting e bilancio partecipativo. Sono i veri punti su cui confrontarsi, con tutti i rischi e le difficoltà di una disciplina adeguata.
Voglio invitare alla riflessione soprattutto ai ragazzi che dovranno saper raccogliere le nuove sfide della democrazia diretta e saper partecipare in maniera più compiuta alla democrazia che verrà, anche forse mediante strumenti che ora vengono usati soprattutto ad altri scopi (penso ai social network, come facebook e a twitter).
La democrazia si costruisce attraverso la partecipazione. Altrimenti non è più democrazia.