Sono attualmente quindici i poliziotti indagati per la vicenda delle violenze nel carcere di San Gimignano, che si sarebbero consumate ai danni di un cittadino tunisino. Fra le accuse, nate dalla denuncia di alcuni carcerati, spicca il reato di tortura, ma sono comprese anche lesioni aggravate, minacce e falso ideologico commesso da un pubblico ufficiale.
Intervenendo nel merito della vicenda, il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma ha fatto riferimento ad altri casi aperti presso diverse Procure d’Italia: Torino, Ivrea, Viterbo, Udine, Napoli, Piacenza e Salerno. Ha aggiunto che in agosto il suo ufficio ha segnalato ai magistrati di Brescia un episodio molto grave successo a Monza, in merito al quale l’associazione Antigone ha presentato un esposto. Intanto presso il carcere di San Gimignano il Dap ha disposto valutazioni disciplinari e ha confermato la sospensione immediata dei quattro agenti della penitenziaria che hanno ricevuto provvedimento d’interdizione dall’autorità giudiziaria. Confidando nell’operato della magistratura, l’ufficio del Ministero della Giustizia ha inoltre auspicato un rapido e accurato accertamento.
Il carcere di San Gimignano: sovraffollamento e condizioni di abbandono
Il sindaco di San Gimignano, Andrea Marrucci, è intervenuto insieme alla deputata PD Susanna Cenni per sottolineare lo stato d’abbandono in cui verte il carcere di San Gimignano, che genera difficoltà sia nel lavoro degli agenti che nella vita dei detenuti. Da mesi infatti l’istituto è privo sia del comandante sia del vicecomandante della polizia penitenziaria.
Cenni e Marrucci affermano che avevano denunciato l’insostenibilità delle condizioni della struttura in una lettera al ministro della Giustizia Bonafede, il quale ha risposto comunicando che il Ministero avrebbe provveduto a risolvere la questione del comandante della penitenziaria. Ma questo non risolve i problemi posti dalle condizioni del carcere di San Gimignano: “Il Ministero ci parla di 352 detenuti su 325 posti disponibili”, hanno dichiarato, sottolineando la “cronica assenza di una direzione stabile”.
Violenze sui detenuti, uno scandalo che periodicamente riaffiora
Quella delle violenze sui detenuti appare come una questione che periodicamente riaffiora nelle aule di tribunale. La più grande inchiesta fu quella relativa al pestaggio nel carcere San Sebastiano di Sassari, in cui le vittime furono circa trenta.
Altrettanto scandalo suscitarono le torture nel carcere di Asti nel 2011, le numerose vicende di morti in circostanze nebulose da Stefano Cucchi a Giuseppe Uva, fino alla tristemente nota “cella zero” di Poggioreale, un antro umido, spoglio e senza numero, dalle pareti sporche di sangue e feci. Lì, in base alle denunce di oltre 50 carcerati, questi erano costretti a spogliarsi nudi al buio per ore, subendo pestaggi e minacce.
Ma questi sono solo i casi più noti, che mal esemplificano il flusso narrativo fatto di suicidi sospetti, pestaggi e abusi che scorre da Nord a Sud, esondando a tratti dalle lettere dei detenuti come quelle inviate dal carcere di Viterbo ad Antigone nell’aprile scorso, per poi tornare a scorrere sotterraneo. E tuttavia quello dei rapporti fra gli agenti e le persone ristrette non è che uno fra i tanti sintomi della malattia più ampia che affligge le carceri italiane, ovvero la mancata applicazione del dettato costituzionale.
Le condizioni intollerabili delle carceri colpiscono i detenuti, ma anche il personale
Il tasso di sovraffollamento in alcuni istituti è superiore al 200%, nel 30% vi sono celle in cui non sono garantiti i 3 mq e i problemi strutturali vanno dalla mancanza di acqua calda e illuminazione idonea all’inadeguatezza degli spazi destinati all’ora d’aria. Strutture fatiscenti in cui all’assenza di regolarità nei colloqui dei detenuti con i familiari si somma in diverse carceri quella di attività lavorative, educative e ricreative.
Vi sono poi i problemi igienico-sanitari, l’inaccettabile tasso di suicidi (26 dall’inizio dell’anno) e atti di autolesionismo, l’elevato livello di malattie infettive e di persone affette da disturbi psichiatrici, dramma acuito dall’elevata presenza di tossicodipendenti e dalla chiusura degli OPG. Ciascuno di questi dati, che colpiscono direttamente le persone private della libertà, si ripercuote indirettamente sul personale tutto, in primis sui membri delle forze dell’ordine.
Carenza di organico
Nel caso del carcere di San Gimignano, il corpo della polizia penitenziaria ha collaborato alle indagini affinché si accertasse la verità. Le forze dell’ordine hanno i loro anticorpi, ma non possono debellare un male che stravolge la loro funzione, chiamate al compito impossibile di fronteggiare una simile situazione con una strutturale carenza di organico. Il tasso di suicidi fra i poliziotti penitenziari è oltre il 35%: in tre anni si sono uccisi 17 agenti di custodia, oltre 100 dal 2000 ad oggi, mentre un terzo soffre di depressione e stati d’ansia.
Il carcere è uno di quei recessi della società italiana in cui lo Stato di diritto è di fatto congelato, nel quale il confine che ai più sembra netto fra vittima e carnefice si fa sempre più labile man mano che ci si avvicina con lo sguardo. Un non-luogo che al suo interno cela una realtà impietosa di diverse gradazioni di oppressi dalla silenziosa indifferenza di uno Stato sospeso ed immobile, dove anche le più ferree doti di resilienza devono fare i conti con l’azione erosiva di tempi interminabili e spazi claustrofobici.
Camillo Maffia