Ezio Bosso annuncia l’addio o presumibilmente ha solo evocato uno status di sofferenza per chi vive la professione attraverso la propria anima, disciplina e ausilio dei propri arti ma che allo stesso tempo combatte contro un mostro che non arretra nella sua marcia
Tutto è accaduto questo week end, quando il maestro d’orchestra e pianista, Ezio Bosso ospite a Bari alla Fiera del Levante ci racconta la sua sofferenza. Interloquisce con il governatore pugliese Michele Emiliano e accompagnato dal suo cane, Ragout, inizia la sua preghiera:
“Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere”
Parole meste, ma senza mai perdere il fuoco di vitalità che contraddistingue l’artista torinese, colpito nel 2011 da una sindrome autoimmune e dall’esportazione di una neoplasia. Una vitalità che l’ha fatto conoscere e amare dal grande pubblico, eccellenza italiana rara. L’esibizione al Festival di Sanremo nel 2016 e quel sentimento empatico che l’ha legato alla gente. Genio con pochi eguali, che ha girato il mondo e le orchestre di maggior prestigio, tenuto corsi in Giappone e a Parigi, studiato per le sue composizioni divenute anche musiche per un regista come Gabriele Salvatores. Colui che attraverso la profonda forza con cui si combatte la malattia, attraverso quella profonda passione per le note ha avvicinato anche i profani alla bellezza scandita da uno spartito.
A Bari ha ricordato che proprio attraverso la degenerazione della patologia non ha più potuto usare in modo sufficiente due dita per saper suonare, ormai già da un paio d’anni, al contempo ha provato comunque ha rassicurare i fan:
“Sono molto meglio come direttore”
Lasciando così intendere che, anche se lontano dal suo strumento, continuerà a tenersi vicino alla musica nel ruolo di direttore d’orchestra e siamo certi finché avrà forza di farlo.
Di fronte a Michele Emiliano riesce a raccontare anche dettagli intimi della sua vita privata, della sua personale concezione della musica:
E’ come un focolare attorno al quale sedersi, un linguaggio universale che permette a tutti di parlarsi e fare comunità a prescindere dal luogo di provenienza”
Aggiunge poi:
“Musicista non lo si diventa solo per talento. A un certo punto, soprattutto chi ce l’ha il talento, lo deve dimenticare e fare spazio al lavoro quotidiano, alla disciplina, la sensibilità è negli occhi di guarda, perché il talento e le persone sono persone, con le ruote o senza. Con la pazienza, a tutte le età si può imparare, perché se uno dedica del tempo alle cose, vengono”
Parole struggenti ma che inducono chi ascolta alla perseveranza, nelle lotte del quotidiano a prescindere dalla loro forma o terribile consistenza. Momento emozionante della conferenza di Bari è anche l’invocazione all’art.9 della Costituzione, dice:
“È una figata pazzesca perché mette insieme musica, arte e paesaggio. Ma se di quelle cose non ci prendiamo cura, spariscono e ce ne accorgiamo solo quando le perdiamo”
. Conclude:
“La musica, ci ricorda anche questo: prendersi cura, avere rispetto, far stare bere, non confondere la quotidianità con l’eternità, i nostri piccoli poteri con l’assoluto”
La lezione di Ezio Bosso scinde dall’esecuzione musicale, non usa i sensazionalismi dei media annunciando qualcosa che si era già dedotto un paio di anni fa. Ci invita a non avere pietismi, ad ammirare la bellezza della musica come mezzo creativo e soddisfacimento del bisogno individuale e collettivo, ci invita ad acclamare il maestro e non soccombere all’umana condizione.
Claudio Palumbo