Il 17 settembre si tengono le elezioni politiche nello stato di Israele e Benjamin Netanyahu, a caccia di consensi, promette nuove annessioni.
A stuzzicare gli appetiti di conquista dell’estrema destra israeliana guidata da Netanyahu è, in questo caso, la Valle del Giordano. Attualmente il territorio si trova sotto il controllo palestinese, ma negli ultimi decenni è stato oggetto di un costante movimento di colonizzazione da parte di Israele. Il meccanismo di espansione israeliano, infatti, si è da sempre appoggiato alla spinta colonizzatrice della popolazione civile.
Il suo funzionamento è pressappoco questo: gruppi di israeliani prendono di mira determinate aree del territorio palestinese. Vi si stabiliscono attirando altri coloni e investimenti fino ad ottenere una sorta di “maggioranza”, sia essa numerica o in termini di potere economico. Alla fine di questo processo Israele dichiara “di fatto” l’annessione dell’area in questione, inviando le forze armate che, in teoria, dovrebbero “pacificare” il territorio ma che, in pratica, mettono in atto un vero e proprio programma di conquista definitivo.
L’annuncio di Netanyahu ha immediatamente riacceso le tensioni in tutta l’area medio-orientale. Nel caso in cui il suo disegno di conquista dovesse compiersi, infatti, i territori palestinesi sarebbero praticamente dimezzati. Demolendo, in questo modo, qualsiasi possibilità di formazione di uno stato palestinese autonomo.
Il ruolo di Trump
A rendere possibili questi nuovi disegni espansionistici contribuisce, sicuramente, l’appoggio di Trump. Il Tycoon ha infatti scelto di riconoscere le precedenti conquiste israeliane, ancora osteggiate, almeno a parole, dal resto della comunità internazionale. Parlo, in particolare, delle alture del Golan, annesse da Israele nel corso della Guerra dei sei giorni, combattuta contro Egitto, Siria e Giordania tra 5 e 10 giugno 1967. Il riconoscimento della conquista da parte del presidente statunitense potrebbe fornire a Netanyahu un valido appoggio, utile come trampolino di lancio verso nuove imprese belliche.
Il presidente israeliano ha infatti comunicato che l’annessione si svolgerà con il coordinamento degli Stati Uniti, a seguito della redazione di un Piano di Pace da parte dello stesso Trump. Il presidente israeliano ha poi fatto sapere, in una frase dal sapore vagamente agghiacciante, che “Nemmeno un singolo palestinese sarà annesso“. La frase è agghiacciante per due ovvie motivazioni: per prima cosa si fa riferimento all’annessione di persone e non di territori, ed è un po’ come affermare di voler annettere Malta ma non i maltesi. Per secondo, invece, resta il fatto evidente che i palestinesi, però, in quelle zone ci vivono eccome. Dunque quale sarà il loro destino? Probabilmente saranno nuovamente allontanati e spinti verso una nuova terra di confine ben più angusta e impoverita.
La risposta internazionale
Il primo segno d’inquietudine giunge dall’Arabia Saudita, che ha prontamente chiesto un vertice di emergenza dell’Organizzazione della cooperazione islamica. Un’associazione internazionale fondata nel 1969 per tutelare e salvaguardare gli interessi dei popoli mussulmani nel mondo. Contemporaneamente la Turchia accusa Israele di Apartheid , mentre l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, in accordo col Ministro degli Esteri giordano Aymane Safadi e con le Nazioni Unite, ricorda come un simile gesto rischia di compromettere definitivamente le possibilità di pace nella regione.
Accanto alle risposte diplomatiche, però, non si è fatta attendere la risposta militare palestinese. Dalla striscia di Gaza sono infatti partiti alcuni razzi, prontamente intercettati dal sistema anti missilistico israeliano, mentre l’aviazione dello stato ebraico colpiva numerosi obiettivi sensibili in territorio palestinese. Si sono moltiplicati anche gli abbattimenti di droni militari, da un lato e dall’altro dello schieramento. Gli ingredienti ci sono tutti. Che sia forse alle porte una nuova guerra arabo-israeliana?
Andrea Pezzotta