Qual è l’origine del sistema di partito, così come lo conosciamo oggi? La particolare distribuzione di idee e principi che animano i partiti non è affatto casuale. Il sociologo americano Seymour Martin Lipset e il politologo norvegese Stein Rokkan elaborarono nel 1967 un’interessante teoria sulla formazione dei partiti sulla base delle cosiddette «fratture sociali», in inglese cleavages.
Cosa sono le fratture sociali?
Si tratta di conflitti e antagonismi latenti all’interno della società, che emergono e vengono legittimati (si istituzionalizzano) mediante la formazione dei partiti politici, la cui funzione predominante è quella di rappresentare, formulare e promuovere gli interessi degli appartenenti. Questi, per definizione, rappresentano solo una parte della popolazione complessiva.
I quattro cleavages determinanti della teoria delle fratture sociali di Lipset e Rokkan
Il modello elaborato dai due scienziati politici individua in particolare quattro fratture, responsabili del consolidamento del sistema di partito così come si presenta a noi oggi.
Frattura tra società urbana e società rurale
Questa frattura rappresenta uno dei conflitti sociali più antichi al mondo. Essa trova la propria origine all’inizio dell’età moderna, con la formazione delle prime aree urbane, quando nacquero le prime opposizioni tra abitanti della campagna e signori feudali, abitanti delle città. Il momento in qui questo cleavage conosce la sua massima amplificazione è, chiaramente, quello della rivoluzione industriale: il conflitto si svolge, a questo punto, in termini sia economici che culturali. Dal punto di vista economico, gli abitanti delle zone rurali erano prevalentemente produttori agricoli, mentre gli abitanti delle città erano consumatori, dediti all’artigianato e al commercio. Dal punto di vista culturale, invece, vediamo contrapporsi un vivo fervore nei confronti della tradizione (tipico degli abitanti delle campagne) ad una spinta verso il commercio sempre più esteso e l’innovazione culturale e tecnologica (tipica degli abitanti degli insediamenti urbani). La forte crescita urbana che ha accompagnato la rivoluzione industriale ha poi provocato un calo di interesse nei confronti dei territori rurali. I partiti rurali che si formano in varie aree del mondo rappresentano, appunto, il tentativo di alcuni di rivalorizzare la tradizione della propria terra, in contrasto con gli interessi imprenditoriali e commerciali delle aree urbane.
Frattura tra laici e clericali
Il conflitto Chiesta/Stato è decisamente secolare. Possiamo ritrovare nella Francia di fine ‘700 il fulcro di tale frattura. Dal 585 d.C. la Chiesa Cattolica Romana aveva il diritto di riscuotere una tassa del 10% (decima) su tutti i prodotti agricoli. In origine tale contributo doveva essere usato per la manutenzione delle parrocchie locali, ma molto spesso veniva confiscato dalla gerarchia ecclesiastica per sostenere monasteri e vescovi al di fuori del territorio francese. Così, quando la Rivoluzione scoppiò, nel 1789, il popolo insorse sia contro la monarchia, che contro la Chiesa. Questo antagonismo, che in Europa caratterizzò la società francese più di altre, portò alla nascita di un forte sentimento anticlericale, una forte opposizione al potere istituzionale della Chiesa e alla sua influenza nella vita pubblica e politica. Ne sono testimoni, ad esempio, le leggi di Jules Ferry che negli anni ’80 del 1800 permisero a tutti i cittadini francesi di avere accesso ad un’istruzione completamente laica. In effetti, la laicità – intesa come separazione tra la vita privata, cui appartiene la religione, e vita pubblica – è uno dei principi cardine della costituzione francese, ma anche del senso civico dei cittadini. A partire dagli anni ’90, per esempio, la religione ha creato un conflitto politico che è poi divenuto famoso con il nome di «dibattito sul velo»: secondo alcuni, le ragazze musulmane che andavano a scuola indossando il velo violavano il principio di laicità. Il dibattito si risolse nel 2005 con una legge che vietava l’utilizzo di simboli religiosi (di qualsiasi tipo e confessione religiosa) in pubblico. A distanza di più di dieci anni, potremmo chiederci se questa misura abbia in effetti promosso l’integrazione o accentuato le divisioni sociali.
Quello della Francia è solo un esempio: dei cinque partiti che parteciparono alle elezioni dei Paesi Bassi negli anni Settanta, ben tre erano partiti confessionali.
Ad ogni modo, il conflitto tra Chiesa e Stato condusse alla nascita di numerosi partiti confessionali ai quali, per reazione, si opposero diversi partiti secolari. I partiti cristiano–democratici, ad esempio, sono caratterizzati da posizioni conservatrici nei confronti dell’aborto o del matrimonio omosessuale e da visioni interventiste e corporativiste dell’economia. I partiti liberali o secolari si fondano, invece, sulla preminenza degli interessi individuali rispetto a quelli della comunità: essi presentano un orientamento sociale secolare e sostengono il capitalismo di mercato in economia.
Frattura tra centro e periferia
Questo conflitto coinvolge gli abitanti della periferia delle città, che rivendicano la loro identità particolare rispetto al tentativo delle élites del centro di omogeneizzarne l’impronta culturale. In queste condizioni trovano terreno fertile i partiti etno–regionalisti, animati da un sentimento che Lipset e Rokkan chiamano «nazionalismo regionale». I gruppi periferici hanno infatti la tendenza ad essere geograficamente concentrati e preferiscono intrattenere relazioni economiche e commerciali con agenti esterni, piuttosto che con il centro. I numerosi partiti separatisti formatisi ultimamente in Spagna sono il più chiaro esempio dell’esistenza concreta di questa frattura. Ma lo stesso tipo di fenomeno avviene in tutti i paesi etnicamente eterogenei, come Canada, Irlanda, Israele, Turchia, India e molti altri. Il principio alla base della formazione di un gruppo etnico è, infatti, quello dell’esclusione: il partito etnico promuove l’interesse di una o più categorie etniche, ma solo a condizione che sia possibile individuare un nemico etnico comune da escludere.
Frattura di classe (o frattura capitale/lavoro)
Essa ha assunto rilevanza quando il diritto di voto fu esteso prima ai lavoratori, poi alle donne. Naturalmente, il conflitto che oppose capitalisti e operai è alla base dei concetti di destra e sinistra. Tipicamente, i partiti di destra difendono gli interessi privati e imprenditoriali, il principio del libero mercato e dell’intervento minimo dello stato nell’economia. Al contrario, i partiti di sinistra difendono i diritti dei lavoratori e la necessità di uno stato sociale.
Ipotesi del congelamento e sue contraddizioni
Lipset e Rokkan affermano che tutte le fratture citate in precedenza rendevano il panorama politico fertile, sempre mutevole a causa della nascita continua di nuovi partiti. Ma a partire dagli anni Venti, esso appare come «congelato»: i partiti che si formarono in quegli anni sono sostanzialmente gli stessi che osserviamo oggi, perché le barriere ideologiche all’ingresso di nuovi partiti e alla formazione di nuovi interessi da rappresentare sono diventate troppo alte per essere scavalcate. Il politologo americano Herbert Kitschelt propone due visioni alternative, che contraddicono l’ipotesi del congelamento.
Partiti della sinistra libertaria
La prima contraddizione individuata da Kitschelt è l’affermazione dei «partiti della sinistra libertaria», a partire dagli anni Sessanta e Settanta. Questi si differenziano dalla sinistra tradizionale perché sono meno strettamente legati alla realtà proletaria e tendono a privilegiare temi quali l’ambientalismo e l’immigrazione. Si potrebbe dire che questi partiti siano figli di un drastico cambiamento di valori avvenuto nella società moderna: il passaggio da valori materialisti a valori post-materialisti. Kitschelt afferma che le nuove generazioni, essendo cresciute in un ambiente di benessere e agio, potendo dare quotidianamente per scontata la propria sicurezza esistenziale, scelgono di concentrarsi sull’espansione della libertà umana. Gli argomenti prediletti sono il multiculturalismo, l’eguaglianza di genere e di razza, la difesa di scelte riproduttive e coniugali e della libertà sessuale. Kitschelt dimostra poi che c’è una forte correlazione tra il livello di sviluppo di un paese e il peso politico ed elettorale di partiti della sinistra libertaria come i Verdi.
Partiti populisti di estrema destra
Il secondo fenomeno che contraddice l’ipotesi del congelamento è l’affermazione, a partire dagli anni Ottanta e Novanta, di partiti populisti di destra estrema, come reazione alla nascita dei partiti di sinistra libertaria. Questi partiti tendono a esaltare i valori tradizionali e ad accusare l’immigrazione di minacciare non solo l’identità culturale nazionale, ma anche l’occupazione e il benessere dei lavoratori autoctoni. Secondo l’accademico svizzero Hans-Georg Betz, i partiti populisti hanno sfruttato, inoltre, il passaggio dall’economia industriale all’economia post-industriale, in cui alcuni segmenti della popolazione – come i non scolarizzati – si sentono incapaci di competere e svilupparsi con successo.
Le fratture sociali degli anni ‘2000
E’ interessante notare che la teoria delle fratture di Lipset e Rokkan venne formulata nel 1967 con uno sguardo approfondito verso il passato, ma è in realtà un modello in continuo divenire. Il contesto storico, economico, sociale e culturale influenza profondamente la nascita e l’istituzionalizzazione di nuove fratture. Il saggista e consulente politico e aziendale Federico Cartelli ci suggerisce che in questo nuovo secolo due eventi o «giunture critiche» in particolare hanno generato nuove fratture: la globalizzazione e la quarta rivoluzione industriale.
La prima ha, da una parte, accentuato l’opposizione tra identità e cosmopolitismo, rendendo ancora più aspre le lotte identitarie dei partiti populisti di estrema destra. Dall’altra, grazie alla globalizzazione è nato un nuovo conflitto tra Stato e organizzazioni sovranazionali. Istituzioni come l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale o l’Organizzazione Mondiale del Commercio “minacciano” con forza sempre maggiore la sovranità e i confini giuridici dei singoli stati. Questo, come detto in precedenza, stimola la necessità, da parte degli individui, di difendere assiduamente le tradizioni e le identità nazionali.
La quarta rivoluzione industriale ha poi generato due ulteriori fratture. In primo luogo, il conflitto tra local e offshoring: esso vede contrapposti gli interessi delle grandi multinazionali e delle piccole imprese locali. Questo antagonismo sfocia in nuovi protezionismi e barriere commerciali. In secondo luogo, abbiamo un rinnovamento della frattura tra capitale e lavoro, che racchiude ora due problematiche: la difesa dei diritti dei lavoratori e l’impatto dell’intelligenza artificiale e dell’automazione sull’occupazione e sui salari.
Martina Fantini