Sei lì che mangi con la televisione accesa in sottofondo e scopri che le persone a cui vuoi più bene, la tua famiglia e i tuoi amici, sono razzisti. E ti chiedi: come è possibile che il razzismo raggiunga anche le cerchie affettive più strette? Lo sarò anche io? E’ insito nella natura umana?
“Non sono razzista, ma..”. Sono contro il razzismo. Ho tanti amici neri o, con un occhio al passato, avremmo detto rom e terroni. E ormai è un fatto noto: quando qualcuno inizia così il discorso, sai per certo che sta per esprimere un pensiero basato sul pregiudizio. E le attuali forze politiche, nazionaliste e xenofobe, se non fomentano esplicitamente la violenza, senza dubbio cavalcano l’onda della discriminazione e della paura verso l’altro. Ma non voglio puntare il dito a nessuna forza politica.
Voglio parlare di quel sentimento, di razzismo, che riguarda anche quelli di mentalità più aperta. A molti di noi sarà capitato di provare sensazioni irrazionali, sentendosi anche in colpa. Ad esempio sentirsi in pericolo, camminando da soli per strada di sera, da un gruppo di persone che hanno la pelle scura o parlano in un’altra lingua. O incrociare nel condominio uno sconosciuto di colore e avere la certezza che se fosse stato alto e biondo non ci avremmo neanche fatto caso. O ancora, quando si percepisce un odore sgradevole su un bus puntare subito il dito sulla donna col velo “perché non può non sentire caldo”. Poi ci sono i pregiudizi, quelli positivi se così si possono definire. L‘immancabile“I neri hanno il ballo nel sangue”. “Gli ebrei sono bravi a gestire i soldi”.
“Non sono razzista, ma…” oppure “Non sono intollerante, però…” o ancora “Io rispetto tutti, anche se…”. Almeno una volta al giorno sentiamo o pronunciamo questa frase, tutti colpevoli, nessuno escluso. Che cosa si nasconde dietro a quel “ma”? Esprime una sorte di richiesta di aiuto. Aiutatemi a non diventare razzista, non voglio esserlo. I principi di uguaglianza e di umanità che hanno contribuito a poggiare le fondamento della democrazia, ora sono assai più fragili a causa della crisi economica e delle tensioni sociali. Si ha paura che l’altro ci tolga il pane da sotto i denti. Perciò, la cosa più semplice da fare è attribuire la responsabilità del proprio disagio a un nemico esterno, ad uno diverso da noi.
Vorrei che ognuno di noi si fermi a pensare prima di aprir la bocca, prima che un pregiudizio condito di generalizzazioni si disperda nell’aria. Siamo razzisti quando facciamo di una religione un difetto o di un popolo un atteggiamento. Quando semplifichiamo e riduciamo. Quando ti vuoi allontanare dall’altro solo perché diverso da noi. La signora con il velo che ti ha preso il posto in autobus, è semplicemente maleducata. Il marocchino che vende droga è semplicemente uno spacciatore.
Il famoso nero che ruba il lavoro è semplicemente un signore che il datore di lavoro ha ritenuto migliore di te. O che può sfruttare più facilmente di te, sotto al sole per 2 euro all’ora. Ma questo è decisamente un altro discorso.
Il razzismo è una brutta malattia, curiamoci.
Serena Fenni