Avanza sinuoso tra le acque torbide al calar del sole, la sua silhouette sembra quella di un caccia bombardiere, le pinne pettorali ben aperte ricordano un paio d’ali, la coda si muove costantemente da destra sinistra per poi aumentare di colpi quando la preda è a tiro, il dorso scuro lo rende pressoché invisibile dalla superficie, così come il ventre bianco gli consente di mimetizzare la sua enorme mole vista dal fondo. E’ il grande squalo bianco, il predatore più temuto del mare.
Incontri ravvicinati che fanno notizia
Immaginate di fare una nuotata a un miglio dalla costa, di fare surf o di essere usciti a pesca in alto mare, tutto ad un tratto sulla superficie dell’acqua appare una sagoma triangolare che solca il mare lasciando dietro di sé una linea retta, che pian piano si dissolve.
Complimenti, vi siete appena guadagnati il vostro quarto d’ora di notorietà! Sì, perché non importa in quale parte del mondo vi troviate o se siate protagonisti di un avvistamento o, vostro malgrado, di un attacco; la notizia farà comunque il giro del mondo.
Naturalmente le interazioni uomo-squalo sono molto più frequenti nei mesi estivi a causa della maggior presenza della nostra specie all’interno di quello che è, a tutti gli effetti il loro regno.
Può così capitare che questo mastodontico esemplare segua una barca perché incuriosito dalla sagoma, o rubi la preda ad un gruppo di pescatori.
Per quanto la nostra paura ci possa suggerire l’idea dello squalo a caccia di carne umana, ogni incontro (o attacco) è frutto di un errore da parte del predatore o da fattori esterni, come ad esempio il sangue di pesce sparso in acqua durante una battuta di pesca subacquea o le vibrazioni che produciamo nuotando.
Il “mostro” tra grande schermo e letteratura
Le più antiche fonti letterarie sugli squali risalgono probabilmente alla cultura popolare Hawaiana. Nel piccolo arcipelago del Pacifico, infatti, la presenza degli squali viene vissuta in modo molto più naturale che nel resto del mondo. Succede allora che la paura lasci spazio al misticismo. Gli antichi abitanti dell’isola veneravano infatti ben nove tra dei e semidei con le fattezze di squalo.
Nella moderna cultura occidentale, invece, questo animale viene dipinto come un mostro perennemente a caccia che non disdegna di nutrirsi perfino di carne umana.
Su questa ancestrale paura si fonda il successo del romanzo “Jaws”, pubblicato nel 1974 dallo scrittore americano Peter Benchley. Il libro racconta di un enorme squalo bianco che miete vittime nella tranquilla località balneare di Amity. Si scatenerà così un’avvincente caccia al mostro per rendere le acque di nuovo sicure e salvare la stagione turistica alle porte.
Dal romanzo sarà poi tratto l’anno seguente l’omonimo film (uscito in Italia con il titolo “Lo Squalo”) diretto da Steven Spielberg. La suspance creata dal regista e le improvvise irruzioni del “mostro” sulla scena, fanno di questo film un autentico successo. La colonna sonora che accompagna gli attacchi dello squalo, è ancora oggi una tra le più riconoscibili della storia del cinema.
l successo di entrambi i lavori si deve in gran parte alla loro capacità di dare corpo ad una delle paure più antiche dell’uomo :quella di non poter dominare su un ambiente pressoché ignoto come il mare e di esserne sopraffatto. Inoltre, le leggende che narrano di mostri marini in grado di affondare navi per poi nutrirsi dei loro equipaggi, hanno sempre fatto parte della mitologia e della cultura popolare.
La ricerca scientifica come mezzo per squarciare il velo
Gli studi condotti sugli squali (soprattutto negli ultimi cinquant’anni) e le numerose spedizioni effettuate per studiare gli squali nel proprio habitat, hanno contribuito a confutare l’idea degli squali, presenti fino ad allora nell’immaginario collettivo esclusivamente come macchine di morte.
Particolarmente note le numerose spedizioni effettuate dall’oceanografo Jacques Cousteau che ha divulgato abitudini e comportamenti degli squali, diffondendoli tra il grande pubblico.
Una pietra miliare del genere è il documentario girato dal team di National Geografic intitolato “Il Grande Squalo Bianco”. A bordo della nave che ospita la spedizione c’è anche Peter Benchley che, dopo la pubblicazione del suo best seller, ha dedicato il resto della sua vita a confutare l’immagine che lui stesso aveva contribuito a creare.
Tra gli scopi delle varie spedizioni condotte c’è quello di studiare le reazioni degli squali alla presenza dell’uomo nel loro habitat. I numerosi esperimenti condotti hanno dimostrato l’assenza di “interesse predatorio” dello squalo nei nostri confronti ed ha confutato la credenza secondo la quale questi animali (dotati di un olfatto molto sviluppato) fossero attratti dal sangue umano.
Da predatore a preda
Ribaltando il concetto di interazione tra uomo e squalo, possiamo affermare che il numero di esemplari uccisi dall’uomo è di gran lunga superiore al numero di vittime umane mietute dal predatore nel corso degli anni.
A volte “giustificato” dalla paura del “mostro”, altre alimentato da un senso di sfida nei confronti di un animale potenzialmente in grado di uccidere, negli anni successivi all’ uscita del film, c’è stato un autentico boom della caccia allo squalo.
Col passare dei decenni è inoltre aumentato sensibilmente l’inquinamento del mare ad opera dell’uomo. Ciò ha causato la morte di moltissimi esemplari e quella delle loro prede naturali.
Il rapporto stilato dal WWF nel 2019 riporta dati sconcertanti.
“Il 50 % delle specie di squalo presenti nel Mediterraneo è a rischio estinzione”.
Gli squali che mangiamo
Tra le cause maggiori del progressivo spopolamento, ci sono la pesca accidentale e la frode alimentare . Sono infatti in aumento i casi di squali venduti sul mercato e spacciati per altre specie più diffuse sulle nostra tavole.
Tra i Paesi maggiormente responsabili della progressiva sparizione dello squalo dagli oceani c’è la Cina.
La zuppa di pinne di squalo è infatti uno dei piatti più pregiati della tradizione culinaria giapponese.
Il tipo di pesca operato per ottenere il suo ingrediente principale è particolarmente crudele: molto spesso gli esemplari pescati vengono privati delle proprie pinne e rigettati in mare dove, incapaci di nuotare, moriranno a breve.
La realtà ci racconta quindi di quanto l’uomo sia un predatore assai più temibile dello squalo e di quanto la nostra specie sia molto più crudele e pericolosa di un predatore impresso su celluloide.
Luca Carnevale