Le elezioni europee nel Regno Unito hanno evidenziato un grande calo di consenso per i Tories dopo il fallimento sulla Brexit. Dal 7 giuno il numero 10 di Downing Street è ancora vacante. Il 23 luglio verrà annunciato il nuovo primo ministro che avrà a disposizione solo tre mesi per risolvere un rompicapo che dura da più di tre anni. Jeremy Hunt e Boris Johnson si stanno contendendo l’incarico di competere con il 31.6% del Brexit Party di Nigel Farage e di portare il paese fuori dall’Europa.
Boris Johnson ha dichiarato che la Brexit è “questione di vita o di morte” pronunciandosi a favore di una conclusione rapida anche senza accordo. Jeremy Hunt ha pubblicato su Facebook il suo programma politico sul tema Brexit e ha spiegato:
Entro il 30 settembre farò una valutazione per capire se ci sarà o no la possibilità di un accordo approvabile dalla Camera dei Comuni. Se la mia valutazione sarà positiva cercherò di concludere i negoziati e passare al voto in Parlamento entro la fine di ottobre. Se non sarà possibile raggiungere un accordo vantaggioso, cesserò immediatamente ogni discussione con l’Unione Europea e concentrerò tutta l’attenzione del paese sulla preparazione al No Deal.
Il dibattito tra i due si è svolto martedì scorso ed ha avuto come tema centrale la scadenza del 31 ottobre. Dopo 3 anni in cui si sono succedute fumate nere, Johnson sembra deciso a voler mettere un punto alla Brexit. Hunt invece non vuole parlare di una data di soluzione definitiva perché pensa possa esservi il rischio di nuove elezioni o di una negoziazione più lunga. Il suo avversario lo ha invitato ad essere più ottimista sul futuro del Regno Unito. Hunt ha cercato di smascherarlo chiedendogli se si sarebbe dimesso in caso non fosse stato in grado di rispettare la scadenza, ma Johnson ha rifiutato anche solo di ipotizzare che a novembre il Regno Unito faccia ancora parte dell’UE.
Tra i membri del Tory Party infatti la Brexit è diventata una vera e propria ossessione. Un’indagine di YouGov mostra che:
Il 63% dei conservatori sarebbe disposto a perdere la Scozia, il 59% a rinunciare all’Irlanda del Nord, il 61% a danneggiare l’economia britannica e il 54% accetterebbe addirittura la distruzione del partito affinché la Brexit diventi realtà.
È chiaro che di fronte alla schiacciante perdita delle elezioni europee sia conservatori che laburisti sono stati costretti a scegliere una linea decisa sul tema. Corbyn negli ultimi giorni ha chiesto un secondo referendum ed ha annunciato che il suo partito voterà Remain. I conservatori hanno invece scelto la linea opposta e credono che l’unico modo per vincere le prossime elezioni sia fare la Brexit. La vittoria degli euroscettici di Farage infatti ha segnalato che gli inglesi sono pronti a consegnare il consenso a chiunque porti il Regno Unito fuori dall’UE.
La realtà della Brexit in questo periodo di campagna elettorale ha un ruolo marginale. La difficile realizzazione di questo divorzio e le sue probabili conseguenze sembrano non essere rilevanti per Johnson e Hunt. Per ora si limitano a speculare sul nazionalismo inglese per prendere voti.
Nei fatti chiudere con un accordo migliore rispetto a quello della May di novembre 2018, fallito in Parlamento, è una missione impossibile. L’UE l’ha ribadito più volte ma Johnson e Hunt continuano a sperare di piegare i 27 leader degli Stati membri al nome della potenza inglese. La possibilità di No Deal, anche se non è la preferita dei cittadini, sembrerebbe comunque non spaventarli. Secondo i sondaggi gli inglesi non credono che un divorzio senza accordo possa abbattere la loro economia: neanche la probabilità di dover uscire dall’Europa senza un accordo commerciale rappresenta un problema di consenso per i partiti euroscettici.
Marika Moreschi