Dal 2017 il tasso di abbandono scolastico in Italia è tornato a crescere ed entro il 2020 potrebbe toccare il 15%
Il problema dell’abbandono scolastico non riguarda semplicemente l’istruzione e la cultura dei ragazzi. Esso contamina e indebolisce l’intera struttura statale, limitando la ripresa economica, facilitando il diffondersi di fake news e superstizioni da nuovo millennio, e contribuendo a mantenere elevato il numero dei disoccupati. I principali ingredienti di questa crisi tutta italiana riguardano l’inadeguatezza delle strutture scolastiche, un’offerta formativa di basso livello e poco stimolante, nonché un’endemica scarsità di personale, del tutto impreparato ad aiutare i ragazzi in situazioni critiche che, il più delle volte, abbandonano la scuola proprio a causa dei continui scontri con il corpo docenti.
Il tasso di abbandono scolastico nel 2017 ha raggiunto il 14,5% (contro il 10% della media europea). Un tasso elevato relativo ad una problematica che si lega immediatamente a quella della disoccupazione. Si calcola infatti che i disoccupati con licenza media siano circa il quadruplo dei disoccupati con la laurea (il doppio rispetto a quelli con diploma). Indirettamente, quindi, la questione dell’abbandono si ripercuote anche sull’andamento economico del paese e sulla sua capacità di adattamento nei confronti dei così detti “lavori del futuro“.
I laureati in Italia sono circa il 26% degli adulti (35% la media europea). Intanto cala sempre più il numero di studenti stranieri che scelgono di venire a specializzarsi nel bel paese. Il sistema scolastico italiano si dimostra quindi incapace di spingere i propri studenti fino al termine della laurea. Ma non solo. Dimostra anche di non possedere il minimo appeal nei confronti degli studenti stranieri che potrebbero colmare il gap che ci separa dal resto d’Europa.
La carenza d’investimenti
Il settore dell’istruzione, in Italia, è considerato una priorità solo in determinati momenti della vita politica del paese. E’ una priorità quando si devono effettuare dei tagli e quando i neo governi, nel tentativo di far bella figura, elaborano nuove e complesse riforme scolastiche che, il più delle volte, hanno l’immediato effetto d’incrementare il problema. Esempi lampanti sono la riforma Gelmini così come la Buona Scuola. Ma potremmo facilmente procedere a ritroso fino al governo Giolitti.
A causa di questa mancanza di attenzione politica, un quarto dei giovani non raggiunge i livelli minimi di competenze matematiche e di lettura. Giovani che andranno ad arricchire il serbatoio di disoccupati privi delle competenze necessarie per farsi strada nel mondo attuale. Si calcola infatti che, in tutta Europa, il tasso di disoccupazione dei giovani che hanno abbandonato la scuola sfiori il 40%. Un tasso ben più alto della media generale relativo alla disoccupazione giovanile. Un tasso ancor più critico se viene affiancato alla previsione che, in futuro, solo un lavoro su dieci potrà essere svolto da chi ha abbandonato la scuola prima del diploma.
Le conseguenze dell’abbandono
Agire contro l’abbandono scolastico non è, dunque, una semplice azione atta ad incrementare il livello culturale del paese. Si tratta infatti di un necessario elemento di prevenzione contro la povertà e l’emarginazione giovanile. Dal punto di vista dell’economia statale, inoltre, prevenire l’abbandono scolastico garantirebbe un maggior afflusso di denaro nelle casse erariali, grazie alla maggiore retribuzione dei soggetti istruiti rispetto ai non. In secondo luogo va poi sottolineato che i principali destinatari del welfare statale e dei sussidi sono proprio i soggetti meno istruiti. Contrastare l’abbandono contribuirebbe dunque a ridurre la spesa pubblica.
Dal punto di vista sanitario si calcola che le persone con un basso livello di istruzione hanno, in media, più problemi di salute e una minore speranza di vita. Ciò avviene perché ad un determinato livello di istruzione spesso corrisponde una certa consapevolezza e attenzione riguardante la salute del proprio corpo. Prevenire l’abbandono scolastico è quindi una scelta che porterebbe benefici non solo culturali ma anche economici e sanitari. Si calcola infatti che l’azzeramento dell’abbandono scolastico in Italia, pura utopia, porterebbe ad un aumento del Pill tra l’1,4 e il 6,8%. Basterebbe, in poche parole, a garantire una ripresa al paese.
Chi abbandona?
Il giovane che abbandona la scuola è, nella maggior parte dei casi, maschio, appartenente agli strati sociali più bassi e, dato interessante, bianco. Gli immigrati infatti, quando possono permetterselo, tentano di raggiungere il più alto livello d’istruzione possibile. Per gli italiani, invece, il più delle volte l’istruzione appare come un servizio accessorio di cui si può fare a meno. La maggior parte dei ragazzi che abbandonano, inoltre, sono solitamente affetti da qualche piccolo disturbo dell’attenzione o da qualche forma di ansia non compresa dal corpo docente. Anzi, il più delle volte sono proprio i docenti ad esacerbare simili problemi fino al limite della sopportazione.
I ragazzi infatti non decidono di abbandonar la scuola da un giorno all’altro. L’abbandono è solitamente conseguenza di un lento percorso di disaffezione e allontanamento che né i professori né i percorsi didattici, in generale, tentano di arginare. La scuola agisce facendo valere la sua obbligatorietà. Senza tentare di offrire stimoli e agevolazioni ai ragazzi che si trovano in situazioni difficili. L’obbligatorietà però non è sufficiente se i giovani non sono spinti ad apprezzare ciò che viene offerto loro.
Per fare un esempio dell’assurdo: il fatto che sia obbligatorio il non commettere reati non spinge determinate categorie di persone a non compierli. Offrire a queste persone una valida alternativa al crimine, però, potrebbe fare la differenza. La scuola, quindi, dovrebbe essere un po’ più costruita sui bisogni degli alunni e un po’ meno sull’idea che “in ogni caso il giovane è costretto ad accedervi”.
La drammatica situazione attuale
Offrire un sostegno concreto ai giovani a rischio di abbandono è quasi impossibile. E’ impossibile quando ci troviamo davanti a delle classi troppo numerose, con professori sottopagati che non ricevono alcuna formazione per quanto riguarda la prevenzione di un simile problema. Anche in caso di adeguata preparazione del corpo docenti, le classi pollaio impediscono di dedicare ai casi critici le dovute attenzioni che meritano. Chi non riesce a stare al passo è quindi lasciato indietro.
La scuola e lo stato dovrebbero quindi svegliarsi dal loro secolare torpore, per cominciare ad elaborare un’istruzione “aperta“, che non si fermi al semplice apprendimento nozionistico mischiato alla verifica delle competenze. Potrebbero servire, infatti, corsi di reinserimento (attualmente pochi e mal funzionanti) o attività extracurricolari che avrebbero il beneficio di incrementare la fiducia e l’autostima degli studenti in difficoltà. Il più delle volte, infatti, la scuola contribuisce a demolire questa autostima.
Tutti noi abbiamo in mente quel ragazzo che veniva in classe con noi, magari brillante ma incapace di applicarsi nello studio e che, ad ogni insufficienza, veniva demoralizzato, davanti a tutta la classe, dalle parole del professore. Come possiamo attenderci che un giovane costretto a subire simili bastonate dai tempi delle scuole medie abbia voglia di continuare fino al diploma? Con questo ovviamente non voglio negare ai professori la libertà di bacchettare i proprio studenti, voglio semplicemente ricordare che, accanto alla bacchettata, si deve sempre associare il sostegno, e questo è proprio ciò che manca.
Andrea Pezzotta