A trent’anni dalle proteste di piazza Tienanmen, la censura cinese rafforza i controlli. Siti oscurati, parole vietate, blacklist, sanzioni per utenti e aziende. Se vogliono lavorare in Cina le aziende si adeguano, bloccando fino a 10mila contenuti al giorno.
Sono già passati trent’anni dal 1989, quando il mondo guardava a Pechino, a piazza Tienanmen, alle sue proteste, ai suoi morti e al suo studente con i sacchetti della spesa, fermo davanti a una colonna di carri armati. In occasione del 4 giugno, data tristemente simbolica dell’apice degli scontri, la censura cinese sta rafforzando le già pervasive limitazioni online. I gestori delle connessioni Internet, tramite chi si occupa di censura, hanno infatti ravvisato l’utilizzo di sistemi di riconoscimento automatico delle immagini e dei messaggi vocali riguardanti temi scomodi al governo cinese.
Bisogna far presente comunque che, formalmente, il 4 giugno è una data che in Cina non è oggetto di vincoli per quanto riguarda le commemorazioni. In pratica, però, le attività dei partecipanti a omaggi e manifestazioni vengono limitate e le informazioni sul tema non trovano spazio nei mass media. Le notizie sul massacro vengono normalmente tagliate dai telegiornali della Bbc e della CNN in lingua cinese. A ciò, si aggiunge un più stretto controllo sui dissidenti, comunque costantemente sottoposti agli arresti domiciliari. Qi Zhiyong, attivista che perse la gamba sinistra nel 1989, in occasione del ventesimo anniversario, aveva mandato un sms all’agenzia France Press per informarli di essere stato costretto a salire su un auto per essere condotto lontano da Pechino. Un episodio analogo si era verificato in occasione delle Olimpiadi del 2008 e durante le annuali sessioni del Parlamento.
https://www.youtube.com/watch?v=XdN_RBI08-s
Censura pubblica affidata ai privati
La censura cinese oggi viaggia soprattutto online e lo fa a ritmi impressionanti, inibendo tra i 5mila e i 10mila contenuti al giorno, con una media di 6 al minuto. Le aziende lavorano chiaramente sotto la sorveglianza dell’autorità governativa. Un dipendente di un’azienda cinese per la condivisione di contenuti ha spiegato all’agenzia Reuters che il lavoro di rimozione di materiale online scomodo al governo è condizione necessaria se si vuole continuare a lavorare nel Paese. Le aziende quindi si adattano e investono in sistemi che aumentino i ritmi della rimozione. In questo modo si è arrivati oggi a un sistema quasi completamente automatizzato, che scova contenuti da censurare in base alle parole inserite e alle fotografie che accompagnano post e articoli.
Ciò evita complicazioni e sviste da parte delle società, che potevano capitare quando qualche anno fa gli impiegati rimuovevano manualmente post e immagini che facessero riferimento a piazza Tienanmen. Altri bersagli della censura cinese sono i contenuti riguardanti Taiwan, Tibet, la pornografia, la violenza e, ovviamente, tutte le altre informazioni relative a eventi storici particolarmente invisi al governo.
Multe e reclusioni
Il governo ha costituito un’amministrazione cibernetica che fa capo direttamente al presidente Xi Jinping. Recentemente quest’ultimo ha portato avanti investimenti e misure per rafforzare la censura cinese. Le società sono considerate responsabili insieme ai singoli utenti e quindi la sorveglianza viene innalzata. Non lontano da quel che prevedeva Orwell in 1984, chi pubblica versioni non allineate alla storia ufficiale del Partito Comunista è penalmente perseguibile con nuove pene, introdotte nell’autunno 2018. Le sanzioni per le società che dovessero fallire nella loro opera di sorveglianza sono severe e prevedono l’inaccessibilità per giorni ai loro servizi. Gli utenti, che non godono praticamente di alcun tipo di anonimato, se vogliono iscriversi ai social network, devono fornire il numero del documento di identità. Si tratta di dati che le aziende trasferiscono obbligatoriamente al governo in caso di richiesta. L’utente viene quindi facilmente sanzionato con una multa o con la reclusione.
Gli utenti non demordono
Questi limiti non fermano però la libertà di espressione, che ha trovato negli anni diversi escamotage alla censura cinese. Gli utenti infatti utilizzano spesso parole e locuzioni completamente scollegati dagli eventi di piazza Tienanmen. La risposta delle autorità e delle società è però quasi immediata. La censura si inasprisce infatti limitando un maggiore numero di vocaboli rispetto a quelli normalmente censurati. Basti pensare che, in occasione dei 4 giugno di qualche anno fa, è stata censurata la parola “oggi”. I motori di ricerca come Baidu, inoltre, ricevono direttive riguardo alla priorità da assegnare alle notizie di origine governativa.
Il governo parla ancora oggi di “incidente”
Le proteste di piazza Tienanmen ebbero nel 4 giugno 1989 il loro culmine, nonostante il governo parli ancora oggi di “incidente”. Per sette settimane, dopo la morte del leader comunista riformista Hu Yaobang, studenti, lavoratori e intellettuali cinesi organizzarono manifestazioni per opporsi alla situazione generale di corruzione, alla mancanza di libertà di espressione e alla preoccupante prospettiva economica che si profilava.
Le tensioni contro il regime di Den Xiaoping raggiunsero l’apice con la repressione violenta del 4 giugno. Quel giorno l’esercito sparò sui manifestanti con fucili e carri armati e causò la morte di un numero mai precisato di persone. Ancora oggi, le stime oscillano tra gli 80 e i 200 morti, anche se altre fonti, tra cui la CIA e la Croce Rossa Internazionale, parlano addirittura di migliaia di vittime. Il massacro provocò la condanna dell’Occidente e l’imposizione di un embargo sulla vendita di armi alla Cina.
Il “rivoltoso sconosciuto”
Tra le fotografie che tutti hanno visto almeno una volta nella vita c’è il celebre “rivoltoso sconosciuto” di piazza Tienanmen. Il ragazzo divenne infatti il simbolo di questi scontri e, a detta della rivista Time, “una delle persone che hanno influenzato maggiormente il XX secolo”. Con in mano delle buste di plastica e forse una giacca, si oppose al passaggio di un plotone di carri armati e parlò con i soldati. Venne ritratto da Jeff Widener di Associated Press che lo colse da un chilometro di distanza, mentre si trovava in hotel.
Non si sa molto di più sui minuti che sono seguiti. Il rivoltoso parlò con i soldati, invitandoli presumibilmente ad andarsene, e non accennò a spostarsi. Arrivarono poi altre persone in bicicletta a spostarlo a distanza di sicurezza dai carri armati. Alcuni pensano poi che sia stato giustiziato, ma, anche in questo caso, la censura cinese non ha permesso di scoprirne identità e destino.
Elisa Ghidini