Per Almodóvar è il film della svolta: in quest’opera del 1997 è solo la carne ad essere tremula, cioè tremante perché eccitata e risvegliata in ogni modo da presenze perturbanti.
Lo stile brilla per secchezza e concisione, la costruzione semplice e concentrata delle immagini che vogliono descrivere (ecco il taglio con la produzione precedente) i rapporti quanto le classi.
Nel primo Almodóvar i personaggi sono racchiusi in una rete di ambienti stilizzati all’estremo, come se fossero all’interno di teatrini o carillon e volessero far di tutto per mostrarlo. In Carne Tremula questo istinto è dominato alla perfezione: gli ambienti non perdono intensità cromatica – rafforzata da contrasti sapienti come quello tra verde e rosso – ma nella costruzione presentano una plausilibilità ed un realismo intatti.
Questa concentrazione è dovuta in parte al soggetto di origine: il romanzo Live flesh (1986) della britannica Ruth Rendell virato verso il melodramma, piegato alla lezione di Sirk e Fassbinder.
Amore, per chi conosce il melò, è sinonimo di Potere ma c’è un dominio incosciente delle anime che non è meno invasivo della violenza fisica. Due coppie ed un elemento destabilizzante, alieno: questo è l’assetto di Carne Tremula che ha come scenario e campo di battaglia una Madrid in trasformazione.
Negli anni ‘70 Victor (Liberto Rabal), figlio della prostituta Isabel (Penelope Cruz), nasce su un autobus a Natale. 20 anni dopo, il ragazzo, innamorato della figlia di un diplomatico italiano, la tossica Elena (Francesca Neri), è ingiustamente mandato in carcere. L’accusa è di aver sparato ad uno dei due poliziotti accorsi sulla scena della loro colluttazione.
Victor esce di gattabuia nel 1996. Elena nel frattempo ha sposato il poliziotto ferito durante quella sera fatidica e ora sulla sedie a rotelle, David (Javier Bardém); Sancho (José Sancho), collega di questi, è ancora legato alla dolce ed inquieta moglie Clara (Angela Molìna) che subisce ogni giorno i suoi maltrattamenti.
Appena rilasciato, Victor entra nelle loro vite e distrugge le due coppie seducendo le mogli. Il finale è tragico.
La corrispondenza personaggi-città è calibrata alla perfezione: i primi vengono portati via dalla loro comfort zone come intere zone di Madrid, negli anni ‘90, vengono distrutte dal nuovo che avanza.
In senso cromatico e semantico è un film di opposizioni: quella tra i protagonisti non è che la punta dell’iceberg di una trama giocata per scontri e incontri portati avanti a simmetrie continue. La lotta tra i sessi è speculare a quella tra borghesi e subalterni ma due concetti accomunano i protagonisti meglio della gelosia: il Piacere e la Felicità, che fanno da Nord delle loro bussole interiori.
All’interno di questo ingranaggio narrativo che flirta col neorealismo, si agitano sfumature rese benissimo nella direzione degli attori: una menzione dovrà andare ad Angela Molìna, uno dei volti del cinema di Buñuel, che infonde alla sua Clara una tenerezza ed una risolutezza totali. In una galleria di personaggi bellissimi, il suo è quello che più porta alla commozione: è un fiore calpestato poco dopo aver deciso di aprirsi alla vita e all’amore, lontano dallo squallore circostante.
Antonio Canzoniere