L’Antimafia ha mietuto la sua prima “vittima” nel cantiere per la ricostruzione del Ponte Morandi di Genova, crollato il 14 agosto dello scorso anno, uccidendo 43 persone.
La Direzione investigativa antimafia di Genova ha notificato un’interdittiva, emessa dal prefetto Fiamma Spena, nei confronti di una ditta del napoletano, la Tecnodem srl Unipersonale. Si ritiene che l’azienda sia “permeabile ed esposta” al pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso.
L’impresa si occupa di demolizione industriale di materiale ferroso. Lo scorso febbraio è stata inserita tra le ditte sub-appaltatrici dalla Fratelli Omini spa per la demolizione e bonifica degli impianti tecnologici nel cantiere del Ponte Morandi, per un valore di circa 100mila euro.
L’amministratore a socio unico della Tecnodem srl è Consiglia Marigliano che, come risulta dalle indagini della Dia, sembrerebbe priva di qualsivoglia titolo o esperienza professionale nel settore delle demolizioni. Ma l’elemento che preoccupa di più l’Antimafia è il legame che intercorre tra la donna e Ferdinando Varlese, pluri-pregiudicato napoletano di 65 anni, domiciliato a Rapallo. L’uomo, che risulta tra i dipendenti della Tecnodem, è il consuocero di Consiglia Marigliano.
Varlese nel suo curriculum “criminale” ha diverse condanne per lesioni, contrabbando e furto. Al 1986 risale la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli per associazione per delinquere. Nello stesso processo tra gli altri imputati vi erano soggetti affiliati al clan “Misso-Mazzarella-Sarno“, guidato da Michele Zaza e suo nipote Ciro Mazzarella. Ma non è finita qui. Nel 2006 è giunta una nuova sentenza rilevante della Corte d’Appello di Napoli, che condannava Ferdinando Varlese e un suo nipote per tentata estorsione in concorso con aggravante mafiosa. Proprio da questo episodio, la Dia sostiene che si possano evincere i legami tra il consuocero di Consiglia Marigliano e il clan D’Amico, potenza nel quartiere San Giovanni a Teduccio, dove la Tecnodem ha sede. Tre dei nipoti di Varlese sarebbero, infatti, esponenti di spicco del clan camorristico. Alla luce di questi fatti, la Dia di Genova ha ritenuto che l’impresa fosse in un possibile stato di “asservimento e condizionamento” nei confronti della criminalità organizzata.
Dopo l’interdittiva antimafia, la struttura commissariale per la demolizione e ricostruzione del Ponte Morandi, guidata da Marco Bucci, ha richiesto immediatamente la risoluzione del contratto con la Tecnodem e ha pubblicato la decisione sul sito web ufficiale.
“Grazie alla Dia di Genova– ha scritto su Twitter il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli– . È la dimostrazione che i controlli di legalità sul grande cantiere funzionano anche con procedure estremamente snelle e semplificate. Andiamo avanti per il nuovo ponte sul Polcevera in trasparenza, efficienza e rapidità”.
L’azienda capofila, Fratelli Omini, ha precisato che all’epoca ha presentato tutta la documentazione richiesta per ottenere il permesso al sub-appalto e che aveva ottenuto gli ingressi ai cantieri. Ma non per Ferdinando Varlese, non presente nell’elenco degli operai; nonostante questo, secondo la Dia, il pluri-pregiudicato avrebbe avuto più volte accesso al cantiere del Ponte Morandi, presentandosi come visitatore.
Marina Lanzone