Come nasce l’idea
Da un’idea come quella della Biblioteca dei vestiti, capiamo che la condivisione è sicuramente la risposta più etica ed ecosostenibile allo spreco e alla moltitudine degli oggetti che possediamo. Degli oggetti ci si stanca, oppure sarà sicuramente un altro motivo a farli finire nel dimenticatoio e si tratta soprattutto di vestiti: vestiti che non ci vanno più, che sono passati di moda, che sono magari un regalo in realtà mai apprezzato. È molto probabile, inoltre, che non si conoscano così tante persone da trovare sempre qualcuno che voglia gli indumenti di cui desideriamo sbarazzarci. Per non parlare del fatto che se volessimo davvero accontentare la nostra voglia di sperimentare cose nuove nel vestirci, dovremmo spendere un patrimonio e avere un armadio grande come quello di Chiara Ferragni (cosa, senza offesa per le “fashion victims”, inutilmente dispendiosa se non si fa il lavoro dell’imprenditrice digitale più famosa al mondo) .Ultima e più importante motivazione, dobbiamo considerare che nel mondo, ogni anno, viene gettato un milione di tonnellate di indumenti, con un grande schiaffo in faccia al consumo energetico e allo sfruttamento umano.
È qui che subentra la Biblioteca dei vestiti, dove si possono donare i vestiti che non desideriamo più. Sarebbe più giusto chiamarla “clothes library”, perché sembra essere un’idea tutta anglosassone: oltre quella a Fremantle, in Australia ce n’è una a Sydney, poi ce ne sono alcune in UK, a Toronto e ad Amsterdam.
“Pensa alla porzione del tuo armadio di cui sei annoiato, dove c’è roba che non indossi mai e non ti interessa, che raccoglie polvere da decenni. Questi abiti in eccesso, che tutti abbiamo nell’armadio, potrebbero essere definiti rifiuti, ma qualcuno sarebbe felice di indossarli come fossero nuovi oggetti freschi per il proprio look personale”, dicono le ideatrici dell’iniziativa.
Come funziona la start-up australiana
Quando entriamo in una biblioteca, all’inizio diamo un rapido sguardo d’insieme per ambientarci, magari curiosiamo in giro se abbiamo tempo, poi ci rechiamo sicuri verso quello che sappiamo essere la nostra sezione di interesse e infine prendiamo un libro. Andiamo all’entrata, dove mostriamo la nostra carta di socio, e poi andiamo via contenti di avere un nuovo oggetto per qualche tempo, senza aver speso un soldo.
Ecco, funziona esattamente alla stessa maniera: sul sito di Lost Property (così si chiama la Biblioteca dei vestiti di Fremantle) pagando un piccolo contributo mensile ( $30) si ha a disposizione tutto il guardaroba che i gestori sono riusciti a mettere insieme. Questo dopo aver creato un profilo personale, in cui si indica, oltre ai dati personali, se si hanno vestiti da donare e di che tipo di vestiti si è alla ricerca (genere, taglia, stile…).
Non tutti gli abiti che arrivano saranno in perfette condizioni: quelli che non possono essere riutilizzati perché troppo lesi, diventano prodotti tessili. Abbinati a questa soluzione, ci sono inoltre i laboratori di cucito, lavoro a maglia e patch che periodicamente vengono ospitati.
Anche i grandi marchi e gli istituti di ricerca si muovono verso una moda sostenibile
Non dobbiamo pensare che un’iniziativa come quella della Biblioteca dei vestiti provenga solo da pochi eletti, senza nome, col senso del risparmio e la voglia di infrangere la barriera sociale del “se è usato non va bene”. Infatti, anche alcuni grandi marchi si stanno muovendo verso una moda green, consegnando dei buoni per acquistare nuovi capi a coloro i quali ne portano di vecchi, che vengono riciclati.
Inoltre, proprio alcuni giorni fa, è stato pubblicato in Lombardia il Bando FashionTech, volto a sostenere con dei fondi progetti di sviluppo e ricerca per la moda sostenibile. Ricordiamo che in Italia, l’80% di vestiti comprati, non viene usato.
Francesca Santoro