Ramelli, una commemorazione per una vita spentasi o vite per commemorare ciò che si è spento?
Ramelli Sergio, nato nel 1956 e morto il 29 Aprile 1975. Vita spenta in nome di discorsi, slogan, e simboli appartenenti a ideologie che, già allora, la storia aveva sepolto da più di vent’anni. Una delle troppe vite spentesi nella tetra notte illuminata solo da due stelle morte. In questo caso, l’assassinio fu perpetrato dalla sinistra extraparlamentare (Avanguardia Operaia) e 32 anni fa – dodici dopo il fatto – otto persone sono state condannate in via definitiva.
Ieri, 29 Aprile 2019, per le strade di Milano alcuni gruppi hanno voluto ancora far risuonare le ossa ormai marce di quelle contrapposizioni del millennio scorso. E così, la parte nera (CasaPound, Forza Nuova, Lealtà e Azione) si è adunata col suo bollito ardore in Piazzale Susa per un presidio statico in commemorazione di Ramelli, dopo che il prefetto aveva negato il permesso per un corteo. E la parte rossa, quasi per irriflessa e meccanica opposizione, si è ritrovata a sfilare compunta dietro allo striscione “Nazisti, no grazie”. “Prego” avranno pensato da Piazzale Susa quando hanno deciso che si doveva sfilare fino via Paladini, dove Ramelli fu ammazzato a colpi di chiave inglese sul cranio. Quindi sono seguiti tafferugli con la polizia, prevedibili tensioni, lievi ed eroici feriti per la patria; fino ad ottenere il permesso di muoversi sino all’infame luogo. Lì un migliaio di braccia destre si sono tese in saluti romani che evocano spettri di un passato a sua volta fantasma delle divisioni, vuoto di contenuto.
Per questo motivo oggi, in ottemperanza a quanto voluto dalla Costituzione, la procura di Milano ha aperto un’inchiesta per manifestazione non autorizzata e manifestazione fascista; inchiesta nelle mani della Digos, coordinata dal responsabile dell’antiterrorismo Alberto Nobili e del pm Piero Basilone.
Le reazioni dei politici in seguito agli eventi della commemorazione
Subito, sulle stesse falsarighe parallele (o forse coincidenti), gli esponenti politici – e non solo – hanno speso parole pubbliche. Il presidente di Fratelli d’ Italia, Giorgia Meloni, ha dichiarato che si tratta di: “Un divieto insensato a poter svolgere un corteo, senza simboli se non bandiere tricolori, senza marce o parate di alcun genere. Un innocuo serpentone che si sarebbe concluso sotto casa Ramelli”. E che i manganelli sono stati usati con troppa violenza. Il ministro Salvini, invece – sempre per rimanere nel cerchio chiuso delle contrapposizioni, dove non ci si prende mai la briga di saggiarne la consistenza – , aveva dichiarato che: “La violenza non è mai la soluzione, da qualunque parte arrivi, per risolvere i problemi o divergenze di idee”.
Dall’altra parte spicca lo slogan “ora e sempre resistenza”, che fa da sottofondo a quanto dice uno dei promotori della contromanifestazione: “Noi abbiamo sempre condannato l’omicidio Ramelli e quello di Pedenovi. I neofascisti non hanno diritto di parola”. Anche Gad Lerner, nel solito unico solco ambiguo, è intervenuto con un tweet:
Imbrattare la lapide di Sergio #Ramelli è stato un gesto spregevole. La memoria della sua morte ingiusta merita rispetto. Non forniamo alibi ai fascisti che, protetti dalla @LegaSalvini , infestano di nuovo l’Italia con azioni violente, razzismo e culto dell’uomo forte pic.twitter.com/9RbvT6a49I
— Gad Lerner (@gadlernertweet) April 30, 2019
Fascismo, comunismo, antifascismo, antimarxismo e altre reliquie
Il modello fascista e quello comunista – quali alternative al modello borghese-liberale – sono stati completamente sconfitti dalla storia. Sopravvivono solo nella memoria, giustamente: e lì devono rimanere perché – al di là di manifestazioni e scambi di cori – sono ormai incapaci di produrre cambiamenti sul nostro mondo. La nostra realtà non è forse quella in cui consideriamo i diritti civili come il bene più prezioso, in cui facciamo di tutto per un libero mercato, in cui ci indigniamo se l’identità di una persona non è definita da essa stessa? Con quale serietà possono essere prese le contrapposizioni tra fascismo e antifascismo, tra “estrema destra” e “resistenza”, laddove si staglia un altro vincitore che già da decenni ha inglobato tutto e omologato tutti noi allo stesso modello? Probabilmente non con maggiore serietà di quella che si riserva alle contrapposizioni tra tifoserie allo stadio.
Il 29 Aprile 1975 veniva assassinato Sergio Ramelli. Sei mesi dopo anche Pier Paolo Pasolini trovava una morte altrettanto brutale. Già allora l’intellettuale bolognese – fiero antifascista che ebbe anche la tessera del PCI – puntava l’attenzione sulla liquefazione di quei modelli, di quel binomio e della loro contrapposizione; essa si era irrimediabilmente svuotata di senso, a causa di un “mutamento antropologico” orizzontale dovuto – a suo dire – al consumismo; ciò che era il vero punto focale su cui confrontarsi. Quanti di noi hanno seguito criticamente il suo invito?