Omicido a Manduria, nel cuore del Salento: Antonio Cosimo Stano, di 66 anni, viene ritrovato nella propria abitazione legato ad una sedia, in gravi condizioni fisiche e mentali, viene ricoverato e operato due volte ma entrerà in un coma da cui non uscirà più, muore così il 23 Aprile, dopo 18 giorni di agonia.
A ridurlo in quelle condizioni è stata una baby-gang composta da 14 giovanissimi ragazzi, 12 dei quali addirittura minorenni. Le violenze ai danni dell’uomo, che viveva solo e tendeva all’isolamento a causa di un disagio psichico, venivano perpetrate nella sua abitazione, nella quale era stato costretto a rimanere chiuso, senza potersi alimentare per giorni.
I ragazzi si divertivano a filmare le sevizie cui lo sottoponevano e ad inviarsi i filmati in vari gruppi Whatsapp, filmati che sono già al vaglio degli inquirenti e che raccontano di violenze inaudite.
Sono due le procure che si stanno occupando dell’omicidio: quella dei minori e quella ordinaria e stanno indagando per i reati di omicidio preterintenzionale, rapina, lesioni personali, stalking, violazione di domicilio e danneggiamento.
La storia che ha sconvolto la cittadina di Manduria ha turbato soprattutto le famiglie dei ragazzi, gente comune che non aveva mai avuto a che fare con la giustizia, si tratta di professionisti, imprenditori e insegnanti, eppure qualcosa di molto grosso è andato storto, anche perché pare che la baby-gang agisse dal 2012: 7 anni di brutali maltrattamenti e nessuno si è accorto di niente?
Cosa possa spingere dei ragazzi, a quanto pare non inseriti in un contesto di degrado, a compiere gesti di tale crudeltà è una domanda a cui vorremo tutti dare una risposta, cosa ha impedito ad almeno uno di loro di fermare le violenze? Cosa ha impedito ad almeno uno degli spettatori dei video di denunciare quanto stava accadendo? Uno dei minorenni a cui è stato chiesto “Perché?” pare abbia risposto “per passare il tempo, per gioco”. E per noia, nella totale assenza di empatia e di pietà, è morto un uomo.
Roberta Sanzeni