I dati sugli iscritti parlano chiaro: confermato il divario tra Nord e Sud
Le scuole sono sempre più vuote, infatti al prossimo anno scolastico si sono iscritti ben 69,256 studenti e studentesse in meno. Un calo dello 0,9% rispetto a quello passato si evince dalle tabelle sulle iscrizioni. Con tutta probabilità nel futuro più prossimo non ci saranno miglioramenti, poiché dando un rapido sguardo agli anni addietro si nota che si sono persi 188,583 alunni e alunne a partire dall’anno 2015/2016, con un calo del 2,4%.
Il calo è più evidente al Sud e un po’ meno al Nord, in modo coerente allo storico regresso che il Mezzogiorno trascina con sé. Infatti la Basilicata si aggiudica il primato negativo, poiché da settembre entreranno nelle aule lucane 1742 studenti in meno, tradotti in un calo del 2, 23%. Per contrasto abbiamo l’Emilia Romagna, unica regione (anche tra quelle del Nord) in cui non si verifica una diminuzione degli alunni. Ciò è dovuto ai i servizi sociali della regione e in particolare all’attenzione alle donne lavoratrici. Lo spiega Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl scuola.
Il governo italiano coabita con un sistema scadente
Sempre la Gissi afferma che “il Sud si sta avviando alla desertificazione, ma in tutta Italia ci troviamo di fronte a un calo senza precedenti“; come non ricordare a tal proposito la recente affermazione del Ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti. Secondo Bussetti alle scuole del Sud non servirebbero più fondi, ma più sacrifici, più impegno delle sue parti per eguagliare quelle del nord.
“Mancano le politiche per la famiglia, le politiche sociali e i sostegni per garantire alle coppie che stanno costruendo il loro nucleo la possibilità di andare oltre il primo figlio. Appaiono in difficoltà anche regioni come Piemonte, Lombardia o Veneto, tradizionalmente più ricche”, continua la segretaria Gissi.
Al di là delle controversie sociali e dei dati allarmanti circa la crescita della nostra popolazione, non è un mistero che l’Italia si trovi tra i paesi che in Europa investono meno risorse nell’istruzione. Ed è così che ci ritroviamo una delle classi docenti più anziane e meno pagate rispetto agli altri paesi dell’Unione e delle scuole sempre più vuote. Tutto ciò si ripercuote anche sulla qualità dell’insegnamento: abbiamo un alto tasso di “analfabetismo funzionale”, di giovani senza diploma e di abbandoni precoci, scaturiti da un sistema che non coinvolge e non sa far nascere e alimentare la passione dell’apprendimento.
L’incontro dell’8 aprile con i sindacati
Il ministro Bussetti si è detto intenzionato ad “aprire un dialogo per rivedere i parametri sulle autonomie scolastiche in maniera più tarata sul territorio”. Ciò sembrerebbe in concordanza alla proposta del governo della regionalizzazione delle scuole. Come fa un paese che non fa figli a fronteggiare un calo di iscritti nelle scuole, sempre più vuote? L’idea della Uil, partecipante all’incontro, era chiedere meno alunni per classi, di rendere stabili i precari, di aumentare gli stipendi degli insegnanti e di ribadire fortemente il no alla regionalizzazione, poiché l’unità nazionale per i sindacati è inderogabile. Solo così si può garantire una scuola giusta e che fornisca pari opportunità. Il ministro dell’istruzione, dopo aver incontrato l’8 aprile i sindacati della scuola ed esaminato i dati al riguardo, dovrà decidere l’organico del prossimo anno, che i lavoratori e i loro portavoce temono sarà ridotto. Per ora, Bussetti ha delineato il percorso che porterà ad un piano pluriennale di assunzioni, riguardante soprattutto le scuole dell’infanzia e primarie e poi quelle secondarie.