Cesare Battisti, interrogato dal pm Alberto Nobili e dalla dirigente dell’Antiterrorismo della Digos, Cristina Villa, ha ammesso la sua responsabilità in tutti gli addebiti. Ha dichiarato di aver partecipato ai due omicidi in qualità di esecutore materiale e agli altri due come organizzatore.
L’ex terrorista dei Pac (“Proletari Armati per il Comunismo”) è stato interrogato sabato 23 e domenica 24 marzo nel tribunale di Oristano. Cesare Battisti sta scontando l’ergastolo, dopo essere sfuggito alla giustizia italiana nascondendosi prima in Francia, poi in Brasile ed infine in Bolivia, termine corsa della sua fuga durata 40 anni. Finora si era dichiarato sempre innocente.
I quattro omicidi
Di due dei quattro omicidi, Cesare Battisti ha ammesso di essere stato l’esecutore materiale. Per mano diretta di Cesare Battisti il 6 giguno 1978 morì il maresciallo Antonio Santoro. I terroristi dei Pac lo accusavano di essere una persona che perseguitava i detenuti politici. Il secondo omicidio è avvenuto l’11 aprile 1979, in cui Battisti premé il grilletto contro un agente della Digos, uccidendo Andrea Campagna. Oltre a questi due delitti, Battisti ha poi confessato di essere stato l’autore di due gambizzazioni e un ferimento.
Per quanto riguarda gli altri due omicidi, Battisti avrebbe partecipato in maniera indirettamente. Nell’operazione del 16 febbraio 1979, il terrorista ha preso parte come palo durante la quale è stato ucciso Lino Sabbadin, militante del Movimento sociale italiano. Lo stesso giorno a Milano fu ucciso il gioielliere Pierluigi Torregiani e ferito in maniera permanente il figlio. A questo omicidio Battisti prese parte solo alla fase organizzativa.
«Per me, quando avevo 22 anni, si trattava di una guerra giusta» afferma l’ex latitante
Nell’interrogatorio di fronte al pm di Milano Alberto Natoli, Cesare Battisti confessa che «i 4 omicidi, i 3 ferimenti e una marea di rapine e furti per autofinanziamento, corrisponde al vero». Parla delle sue responsabilità, non pronuncia altri nomi e chiede scusa ai familiari delle vittime per il dolore che ha procurato. Ma specifica che la sua era una guerra giusta, con obiettivi precisi e persone che a loro avviso perseguitavano detenuti politici. Combatteva «’i miliziani’ perché armandosi si schieravano dalla parte dello Stato contro la criminalità, quindi soggetti che andavano puniti, perché se i poliziotti fanno il loro dovere i privati non si devono schierare», spiega il magistrato a capo del pool dell’antiterrorismo della procura di Milano.
«La lotta armata ha impedito lo sviluppo di una rivoluzione culturale sociale e politica nata nel Sessantotto. Gli anni di piombo hanno impedito quella spinta culturale che stava nascendo in Italia», è quanto dichiara Battisti al pm di Milano. Si tratta di pentimento o di collaborazioni con la giustizia? Assolutamente no. Le sue sono delle importanti confessioni in cui si riconosce un segnale di disconoscimento di quegli anni, ma che altro non fanno che rendere onore all’operato della magistratura milanese e delle forze di polizia.
E’ un «evento straordinario» dice il procuratore Nobile, in quanto ammissioni arrivate da una persona che per 37 anni si è dichiarato innocente, diffondendo l’immagine di un perseguitato politico, a cui paesi come la Francia, il Messico e l’Olanda hanno dato ospitalità e protezione. Il legale di Battisti – Davide Steccanella – ha messo a tacere le insinuazioni che l’ex terrorista abbia deciso di confessare i quattro omicidi solamente per ottenere eventuali benefici rispetto alla condanna. Quello che è certo è che Battisti ha parlato solo dopo aver letto tutte le sentenze riguardi i Pac, fornendo la propria ricostruzione dei fatti e soprattutto della sua immagine e ruolo nei confronti dei capi di accusa.
Non si dichiara più innocente, tuttavia resta irriducibile. Ammette di essere colpevole ma si descrive a modo suo.