Elezioni in Thailandia. Dopo cinque anni di giunta militare la popolazione torna al voto, ma qualcosa non va. Tra il sospetto di brogli e le presunte irregolarità rilevate dagli osservatori internazionali in alcune circoscrizioni, l’esito finale della chiamata elettorale dei cittadini thailandesi è oggi avvolto dalla nebbia. Non si sa ancora quale sarà il prossimo primo ministro, né il partito vincitore.
Alcune perplessità
Secondo il Guardian, nel distretto di Nakhon Ratchasima, il numero di voti espressi era superiore al numero di elettori registrati. Mentre nel distretto di Chiang Rai, nel nord del Paese, i voti nulli erano quasi il doppio di quelli validi. Inoltre, nonostante gli ammessi al voto fossero 50 milioni, solo il 64% di questi risulta presente ai seggi. Un numero troppo basso e deludente per passare inosservato dai media internazionali. I giornalisti hanno posto molte domande che non hanno avuto risposta.
La ciliegina sulla torta è stato il gesto di Sombat Boonngamanong. Il noto attivista, in base al resoconto della BBC, avrebbe offerto al presidente della Commissione Elettorale una gigantesca calcolatrice. In quanto la sera precedente, incalzato dalla stampa, quest’ultimo aveva affermato di non possederne una.
I risultati preliminari
Se ieri dopo gli exit poll i primi dati comunicati alla stampa davano vincitori il Palang Pracharath Party (sostenuto dalla giunta militare) e il suo candiato Prayut Chan-ocha, oggi questo risultato non appare più così scontato. Dalle prime dichiarazioni si evinceva inoltre che il Pheu Thai, il principale partito di opposizione, avesse ottenuto la maggioranza dei seggi in Parlamento. Tuttavia questi dati non sono stati ancora confermati ufficialmente. Già nella conferenza stampa di questa mattina, la commissione elettorale si mostrava reticente a fornire spiegazioni su questo ritardo. Non sembrava convincente la sua promessa di rivelare più informazioni sui risultati delle elezioni in Thailandia nel corso della giornata. Infatti così non è stato. L’annuncio ufficiale è stato rinviato al 9 maggio.
I partiti in corsa
Solo quattro partiti hanno partecipato alle elezioni in Thailandia del 24 marzo:
- il Palang Pracharath Party (sostenuto dalla giunta militare);
- il Democrat party, partito di opposizione di orientamento conservatore;
- l’Anakot Mai (Future Forward) un partito progressista e principalmente rivolto ai giovani fondato dal quarantenne Thanathorn Juangroongruangkit. Il quale, dapprima molto popolare nei sondaggi, ha perso credibilità dopo essere stato accusato di cybercrime;
- il Phan Thai, legato alla famiglia Shinawatra.
Una quinta lista era stata esclusa dalla competizione per aver candidato la principessa Ubol Ratana, la sorella maggiore del re Maha Vajiralongkorn Bodindradebayavarangkun. Una decisione definita “inappropriata” e “incostituzionale” dalla commissione elettorale e osteggiata dal sovrano.
Il problema della legge elettorale
Un’importante questione da considerare è la legge elettorale. Infatti, la riforma entrata in vigore nel 2017 prevede che il nuovo Parlamento sia formato da due Camere per un totale di 750 seggi: 500 per la Camera (elettiva) e 250 per il Senato (nominato dall’esercito).
Un partito necessita di 376 seggi assegnati affinché il suo candidato sia eletto primo ministro. Questo assetto favorisce indubbiamente il Palang Pracharath Party, perché oltre ai seggi ottenuti tramite le elezioni gode anche dell’appoggio dei 250 senatori. Quindi ai militari basterebbero 126 parlamentari eletti per riconfermare l’ex generale Prayut Chan-ocha alla guida del Governo.
Qualora l’opposizione riuscisse a ottenere i tre quarti dei voti popolari, dovrebbe comunque superare un ulteriore ostacolo: il vaglio dell’Assemblea Nazionale della Morale.
Questa commissione speciale nominata dalla giunta militare ha il potere di rifiurare chiunque sia ritenuto non idoneo a guidare il Paese.
Il contesto storico
La giunta militare aveva preso il potere con un colpo di Stato nel 2014. In quell’anno, la Corte Costituzionale aveva esautorato il primo ministro legittimamente eletto Yingluck Shinawatra con l’accusa di abuso di potere. Sembra infatti che Shinawatra avesse presentato una legge di amnistia “ad personam” con l’intenzione di permettere al fratello Thaksin, latitante, di tornare in patria. Questa scorrettezza da parte del Governo aveva generato una serie di sollevazioni popolari di dissenso.
A nulla era valso il tentativo di fare un passo indietro e ritirare la legge di Shinawatra. Ormai la Corte aveva preso la sua decisione.
Il vuoto di potere che si era creato era stato ben presto colmato dall’esercito con l’imposizione di una legge marziale.
“Sistema di governo in cui le leggi ordinariamente in vigore di uno stato vengono temporaneamente sospese e i tribunali militari prendono il controllo della normale amministrazione della giustizia”.
Un assetto di questo tipo determina una limitazione arbitraria e sistematica dei diritti civili e politici della popolazione.
Da allora le elezioni in Thailandia sono state promesse e posticipate ogni anno dal 2015. Il 23 gennaio 2019 il Re ha concesso la sua autorizzazione e finalmente sono state organizzate. Domenica 23 marzo i cittadini si sono recati ai seggi con l’illusione della scelta. Il 9 maggio sapranno l’esito di questo tanto agognato appuntamento elettorale.
Betty Mammucari