Eibt macht frei, il profitto rende liberi.
E’ la frase pronunciata durante un meeting da Herbert Diess, l’amministratore delegato di Volkswagen. Una frase che, inevitabilmente, rimanda al motto nazista scritto all’entrata del campo di concentramento di Auschwitz. Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi. Se l’obiettivo era quello di motivare i propri dipendenti ad aumentare il profitto aziendale, il risultato è stato ben altro. I dipendenti, gli azionisti della società e l’intera popolazione mondiale hanno manifestato indignazione e disappunto verso questa scelta lessicale di pessimo gusto.
I più shockati sono gli investitori della casa di produzione automobilistica. Uno di essi si è così espresso al Financial Times: “Penso che sarà licenziato. Sono un po’ combattuto: da un lato penso che sia uno dei pochi manager capace di far andare la società nella direzione giusta, dall’altro la sua frase è cosi offensiva che non penso sia possibile scusarlo”. Anche perché, da quanto riportano gli impiegati dell’azienda, Herbert Diess aveva più volte l’espressione “il profitto rende liberi” in molte altre occasioni.
“E’ una frase ridicola che non può esser pronunciata in Germania”, afferma Ulrich Hocker, rappresentante degli investitori tedeschi. Anche il Concilio degli Ebrei tedeschi, di fronte a un oltraggio alla loro storia così forte e ingiustificato, esprimono la loro indignazione. “È gravissimo che i vertici di una delle più importanti aziende al mondo ricorrano, per incitare i propri dipendenti ad aumentare la produzione, a parole d’ordine rappresentative dell’ideologia del Terzo Reich“.
“Desidero esprime il mio rammarico”, si scusa così Herbert Diess
Herbert Diess si è subito scusato con la società e con tutti coloro che sono rimasti feriti dalle sue parole. “Desidero esprimere il mio rammarico per il dolore che il motto da me ideato ha causato nell’animo di tanta gente”, afferma Diess. “Non avevo alcuna intenzione di elogiare il nazismo, volevo solo stimolare l’attenzione dei dipendenti Volkswagen sull’importanza del contribuire a generare sempre maggiori profitti per l’azienda“.
Il top manager della Volkswagen ha ammesso: “Ho commesso una scelta decisamente sfortunata di parole, sono stato offensivo senza averne l’intenzione. Non ho davvero pensato che quella frase potesse essere riferita a quel contesto. Negli ultimi trent’anni Volkswagen è stata coinvolta in molte attività volte a dimostrare che l’azienda, incluso me stesso e tutti i dipendenti, è consapevole della speciale responsabilità di Volkswagen in relazione al Terzo Reich.”
Fu proprio Hitler a fondare la Volkswagen
Ripassiamo un po’ la storia. Fu proprio Adolf Hitler a creare, nel 1937, in piena dittatura nazionalsocialista, la casa automobilistica Volkswagen. Volkswagen, in tedesco vettura del popolo. Infatti, la società nasce con l’obiettivo di motorizzare la classe meno abbiente del popolo tedesco: nascono così le prime automobili tedesche compatte, economiche, semplici e robuste, facili da costruire in grande serie ed economicamente accessibili.
I primi tre prototipi presentati al Fuhrer nel 1936 furono due berline e una cabriolet. Hitler diede immediatamente l’ordine di erigere la prima fabbrica tedesca per la produzione della vettura del popolo. Il luogo prestabilito fu un sito attorno al quale sarebbe stata costruita la futura Wolfsburg, in Bassa Sassonia.
Non molto tempo dopo scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Il progetto, anziché fare un’inversione di marcia, si convertì da civile a militare. Nacquero così le prime auto-tinozza, usate come mezzo di trasporto leggero dagli ufficiali e la Schwimmwagen, meglio conosciuta come anfibia, l’auto che nuota.
Ilaria Genovese