«In Libia sta andando in scena la nuova Shoah. Ma a differenza dello sterminio degli ebrei, stavolta non possiamo dire che non sapevamo».
A dirlo è Gad Lerner dopo le immagini andate in onda a Piazzapulita su La7 girate dentro alle carceri libiche.
Il réportage di Adib Fateh Ali e Nello Trocchia svela atrocità e violenze quotidiane, un vero e proprio regime di schiavitù che non può lasciare spazio all’indecisione: chi si fregia di aver azzerato gli sbarchi sa di averlo fatto a costi disumani.
Ecco dunque cosa succede in Libia, in centri di detenzione fatiscenti dove restare umani è quasi impossibile. Chi non lavora viene torturato, stuprato e ucciso. Ed è proprio grazie agli accordi che noi italiani abbiamo con la Libia che le nostre tasse vanno di fatto a riempire le tasche di chi finanzia queste carceri. I due giornalisti sono riusciti a intervistare alcuni trafficanti che spiegano molto semplicemente che finché il debito dei migranti non è estinto, li fanno lavorare. Se sbagliano, li torturano. Alcuni li uccidono, anche «per dare un esempio agli altri». Le donne sono la merce di scambio più preziosa perché quasi sempre vengono vendute e costrette a prostituirsi. È per questo che sui barconi che vediamo arrivare dal Mediterraneo ci sono molti più uomini.
Uno dei carcerieri racconta che una delle sue torture preferite è utilizzare sul corpo dei suoi schiavi un ferro da stiro rovente. Un altro mostra schiave nigeriane come fossero bestiame al mercato, dando persino una quotazione. Un migrante spiega come, nell’ultimo anno, 90 persone sono morte nel suol carcere per malattie. Chi controlla i campi di prigionia si sente «proprietario» di questi uomini e di queste donne. Solo pochissimi riescono a fuggire. La scena agghiacciante del bambino che ha mani e gambe legate e un masso sulla schiena mentre viene frustato è la prova dell’atrocità che si nasconde dietro alla narrazione tossica sui migranti che ci viene propinata da mesi.
I dati del Viminale dicono che nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 7 marzo 2017 sono sbarcati sulle cose italiane 15.843 persone, scese a 5.457 lo scorso anno e a 335 quest’anno. La frontiera è praticamente chiusa. Ma ecco il prezzo di questa “vittoria”. La Libia è sull’orlo dell’ennesima guerra civile. L’operazione di Haftar a sud, che a sorpresa potrebbe convergere su Tripoli, e il rifiuto degli Elders nell’Ovest a qualunque governo militare, e poi ancora il braccio di ferro tra Sarraj e i vertici dell’esercito, sono tutti fattori destabilizzanti che non fanno altro che inasprire una situazione già esplosiva.
Intanto, veniamo a sapere che il ministero dell’Interno italiano sta per fornire alle autorità di Tripoli nuovi veicoli fuoristrada. Il Viminale la definisce una «richiesta di assistenza tecnica» proveniente da Tripoli per le «esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare». Un appalto da 2,1 milioni di euro finanziato tramite il Fondo Fiduciario per l’Africa, mossa con cui l’Italia intende aumentare il proprio ruolo strategico all’interno di questa compagine.
Poco prima di Natale, il dicastero guidato da Matteo Salvini aveva indetto una gara da oltre 9,3 milioni di euro per la fornitura di venti battelli destinati alla polizia di Tripoli. Il governo giallo-verde, dunque, lontano dal rompere quel filo di continuità con gli esecutivi di centrosinistra precedenti, continua a equipaggiare le autorità libiche. A prezzi inauditi. Il réportage dice una cosa, su tutte: che quando l’Italia autorizza la Guardia costiera libica a soccorrere migranti in mare, in realtà sta decidendo di consegnarli a questo inferno.