La mascolinità tossica è una questione molto diffusa tra le file del femminismo intersezionale ma ancora poco conosciuta alla stragrande maggioranza di noi. Il concetto racchiude tutti quegli stereotipi di genere che rappresentano l’uomo come tutto d’un pezzo.
Il vero uomo è mascolino, sessualmente predominante se non aggressivo, non emotivo e all’occorrenza violento. Si tratta di un insieme di caratteristiche vincolante, rigido e dannoso, da qui l’appellativo mascolinità tossica.
Tutto ciò che rientra in una sfera più emotiva e pacata si associa al femminile. Gli uomini che non rientrano negli standard del machismo sono di fatti definiti delle femminucce. Si tratta di stereotipici di genere che seguono e stigmatizzano i bambini fino all’età adulta, costringendoli, il più delle volte, a soffocare aspetti del loro carattere che non rientrano nella “categoria uomo” strutturata dalla società. Soddisfare l’idea di uomo scelta dalla società è una notevole fonte di stress, che ha ripercussioni sia fisiche che mentali.
La stessa tensione alla violenza è da ricercare secondo James Gilligan, ex direttore del Centro per lo studio della violenza presso la Harvard Medical School, nella mascolinità tossica. In un’intervista del 2013, Gilligan afferma che:
Devo ancora vedere un grave atto di violenza che non sia stato provocato dall’esperienza di sentirsi vergognosi e umiliati, mancati di rispetto e ridicolizzati, e questo non rappresentava che il tentativo di prevenire o annullare quella “perdita di faccia”.
Gillette e lo spot che rinnega la mascolinità tossica
Gillette con il suo spot “We Belive”, diretto dalla regista australiana Kim Ghrig, sfida la mascolinità tossica e invita gli uomini a fare meglio. Lo spot si apre con una voce fuori campo che chiede se bullismo, sessismo, molestie e violenza siano “il meglio di un uomo”, riprendendo lo slogan che accompagna la società da ormai trent’anni. Slogan che in tempi non sospetti ricalcava lo stigma dell’uomo forte e virile. Si tratta quindi di un notevole e positivo cambio di rotta quello del famoso marchio di rasoi.
Dai ragazzi che molestano una passante ai bulli, passando per i bambini che si picchiano perché “sono ragazzi” fino ad arrivare all’uomo che fa mansplaining (commentare o spiegare qualcosa ad una donna con condiscendenza, ndr) alla sua collaboratrice, lo spot rappresenta tutti i comportamenti che rientrano nella categoria uomo e che per questo motivo sono, in un certo senso, socialmente accettati. A questo punto il video mostra come si può essere uomini in un altro modo, combattendo e contrastando i comportamenti negativi che rientrano nel machismo.
Gillette con questo short film compie una scelta comunicativa ben precisa: prende le distanze da una certa mascolinità tossica e invita gli uomini ad aspirare davvero alla parte migliore di loro stessi. Sul sito web dell’azienda si legge:
È chiaro che sono necessari dei cambiamenti. E come azienda che da sempre incoraggia gli uomini ad aspirare alla loro parte migliore, abbiamo la responsabilità di promuovere versioni positive di ciò che significa essere un uomo.
Lo spot rappresenta il primo grande passo verso una mascolinità positiva, che fugga dagli stereotipi di genere e rinneghi ogni forma di violenza. Perché gli adulti di oggi possano essere d’esempio ai giovani che saranno presto gli uomini di domani.
Emanuela Ceccarelli