La sindrome della prima donna tocca anche chi non sembra essere un soggetto immaturo, anche chi ha saputo ispirare gli altri con la sua arte e cambiare la percezione estetica del proprio tempo. Il cinema in quanto estensione della fotografia o musica per immagini non è stato esente da questo tipo di bisticci.
Basti pensare a quei due geni del cinema che da vette gemelle e discordanti rappresentarono due facce dell’immagine in movimento come arte e come indagine. Orson Welles (1915-1985) nel 1958 ai Cahiers du Cinéma disse questo di Rossellini (1906-1977): Di quello ho visto tutti i film: è un dilettante. I film di Rossellini provano semplicemente che in Italia basta prendere una macchina da presa e metterci delle persone davanti per far credere che si è registi.
Il regista americano andava contro l’attualità avendo una concezione del cinema più raffinata: la luce tranciante dei suoi primi film, il grandangolo, il barocco, gli stacchi musicali, le luci ipnotiche delle sue ultime opere esigono un trasporto dello spettatore. Welles fa sia prosa che poesia, detesta la cronaca. Nel suo Falstaff del 1965 ci sono ritmi e sequenze da belcanto così come ne La storia immortale ha il passo sicuro, pacato ma estremamente malinconico di un pezzo da pianoforte di Erik Satie.
Il regista aveva avuto un’educazione eclettica, intrisa di grandi testi e classici, descritta mirabilmente da Oriana Fallaci nel suo articolo sul regista.
Rossellini invece scommetteva sul rapporto uomo-ambiente, ignoranza-conoscenza con un approccio più lineare che è anche un ragionamento filosofico sul cinema: sa che il linguaggio dell’immagine in movimento è estremamente allusivo, creato apposto per i colpi di teatro. Questo non va a vantaggio del mezzo nella sua visione: la scelta stilistica è anche una scelta morale.
Una carrellata, una luce non naturale, una distorsione ottica producono una distorsione della percezione e così della conoscenza, della rielaborazione dei dati. Non è un caso che lui abbia poi avuto una concezione del cinema didattico, pronto ad indagare i rapporti come i concetti con il paradigma della lentezza, della chiarezza, del pragmatismo. Sua figlia Isabella ha spesso ricordato gli esperimenti condotti al microscopio per il suo interesse per la natura. Cosa tra l’altro confermata pure nelle sue prove narrative quali Roma città aperta e Viaggio in Italia, film che ha fatto invecchiare i film coevi di dieci anni secondo Jacques Rivette.
Un umanesimo senza fronzoli: ecco il suo sogno. Ora con le nuove tecnologie i due approcci ora esposti sono aperti verso il futuro della settima arte e della tecnica in sé. Al pubblico rimane la decisione finale: l’arte, la ricerca o entrambe?
Antonio Canzoniere