File di trattori carichi di uva pronta per vinificare, uomini frementi di consegnare Glera, Pinot nero e Chardonnay, alle cantine. Telecamere che scansionano il traffico. Ma arrivano i cattivi, i Notari, gli azzeccagarbugli, i magistrati e le carte bollate. Si lotta per un lotto, per una concessione di licenza, per il tipo di tappo : se devono essere a vite, a molla, di plastica o di sughero. Tutto in nome dell’oro del Nord Est: il Prosecco.
L’oro del Nord Est.
Mai come il 2018 la produzione di uva da vino è stata così magnifica, abbondante. Definita come di qualità. Lo confermano i dati dell’ Osservatorio del vino, da un lato, e quelli rivelabili dagli scambi Ue, dall’altro. Lo confermano i dati prodotti dalla Commisione Europea, e del MiPaaf. Alle cantine non si erano mai viste code così lunghe dei conferitori, si è arrivati a mettere delle telecamere come nei caselli autostradali.
L’Italia si conferma, per il secondo anno consecutivo, primo paese nella produzione e quindi nell’esportazione del vino in Europa. Sono stati prodotti 49,5 milioni ettolitri, davanti alle maggiori concorrenti cioè Spagna (47milioni) e Francia (46,4).
Stando ai dati è il terzo anno consecutivo che si nota un costante aumento. Da un lato lo dobbiamo ad un incremento di terreni vitati, da un lato a delle ottime condizioni metereologiche per la vite. Ora, tutto questo dovrebbe farci esultare, tenendo conto anche di un fatturato, solo dall’export, di 7 miliardi di euro (dato sconcertante se confrontato con il 2009 quando si arrivava a 3,2 miliardi). Il vino continua a dimostrarsi uno dei settori trainanti dell’economia italiana, indipendentemente dalla crisi economica globale.
Questa maggiore quantità prodotta ha però alcuni aspetti contrastanti. Ad un triplicare del fatturato export, coincide un -20% del fatturato interno. Il che indica circa un 50% in meno di consumi (in termini assoluti sia di quantità che di prezzo unitario). Ora negli ultimi 10 anni, i terreni vitati sono presumibilmente aumentati, i dati relativi non sono disponibili con univocità essendo tra l’altro suddivisi tra fonti discordanti: consorzi di denominazione, province, Regioni non comprensivi di quelli fuori dalle varie D.O.C.
Un vitigno per poter essere certificato all’interno del disciplinare, deve fare una serie di passaggi burocratici alle volte lunghissimi, acquisire quote dalla Regione o dal consorzio, attendere una autorizzazione per l’impianto, essere poste in essere le vigne, attendere almeno tre anni per il primo raccolto. E questo indipendentemente dal consorzio o dal regolamento.
Se poi devono essere venduti autonomamente o come vino da tavola che conta circa 13.000 conferitori, e 27,000 ettari vitati, il numero dei terreni nazionale è alquanto incontrollabile. Infine la disciplina europea, fa una leggera confusione sulle importazioni dei Mosti, tra imbottigliatori, produttori intra o fuori EU. Con diciture alquanto larghe per non dire aggirabili.
I dati fanno “supporre” un incremento, in cinque anni, di almeno il 25% dei terreni vitati. Il che, spiega, l’aumento del prodotto lordo di uve da 33 a oltre 47 milioni di ettolitri.
Nello stesso decennio, il prezzo medio per quintale passa 48 a 12 euro. Tutto questo a vantaggio dei vini sfusi o da tavola con un 10% di incremento medio annuo.
Il prosecco: l’oro del Nord Est
Il prosecco è un vino bianco prodotto nel Nord ‘est Italia, in Veneto tutte le province esclusa Rovigo e in alcune zone del Friuli Venezia Giulia, principalmente vicino Trieste; in parte anche in Piemonte.
“E’ il vino più esportato d’Italia per numero di bottiglie. Raggiunge da solo, un volume d’affari di oltre 4 miliardi “.
É un prodotto conosciuto sin dall’antichità. I triestini dichiaravano di inviarlo all’Imperatore sin dal 1382, pertanto il nome “Colli di Prosecco” attribuito ad un piccolo borgo attiguo la torre omonima sopra il Castello di Miramare . Essendo una fonte di guadagno certo, ha indotto molti coltivatori a produrlo e venderlo.
L’eccessiva produzione ha però un risvolto negativo. L’ abbassamento della qualità, del prezzo, e della reputazione degli stessi consorzi. Pertanto ogni zona produttrice si è dotata di un regolamento stringente chiamato disciplinare che ha l’obiettivo di: omogeneizzare la produzione, censire i produttori, conformare i processi produttivi e mettere delle regole certe alla produzione.
Regolamento disciplinare: in cosa consiste?
In sostanza: i produttori, gli imbottigliatori, la Regione, la camera di commercio, infine il ministero, si siedono ad un tavolo e si danno delle regole. Di solito queste: tipologia di uve coltivate o coltivabili, quantità di zuccheri presenti nell’uva, minima e massima, tenuta dei mosti, metodi di conferimento e riconoscimenti economici, tipologie di invecchiamento e produzione, organi di controllo, di certificazione, sindacali, e marchi.
Se funziona è una garanzia per chi produce, e altrettanto per chi compra il prodotto.
Tutto si basa quindi su una condivisione di regole e di certificazione delle stesse da parte dell’ente preposto.
Solo il disciplinare Prosecco DOCG tra Cartizze e Valdobbiadene (riconosciuto dal 1969) ha prodotto nel 2017 oltre 129 milioni di bottiglie, tra Superiore e D.o.c.G. E, per mantenere alto il livello qualitativo, vieta ai consorziati l’utilizzo di fertilizzanti chimici (quasi tutti, ma principalmente gli azotanti) nei terreni vitati, il che rende il piccolo territorio, una specie di parco pubblico a coltivazione intensiva di Glera (l’uva).
Mentre la più vasta D.O.C. nel 2017 ha dichiarato: 214.450 ettari vitati, 1.149 aziende vinificatrici.,10.242 aziende produttrici, 348 case spumantistiche. Un complessivo giro d’affari per 2,4 miliardi.
Quindi tutto bene ? No, ovviamente .
Il consorzio Prosecco Doc esiste dal 2009, anno della impennata delle esportazioni. Comprende quasi tutto il Veneto e mezzo Friuli quindi questo lo porta ad avere un’area vastissima. Il testo del regolamento viene approvato nel 2011. Promulgato, ma con deroghe sino al 2019. Chi aderiva al consorzio, in dieci anni avrebbe dovuto adeguarsi.
La Guerra Dei Tappi
Le controversie . Un singolo produttore ha bloccato l’omologa del disciplinare, con un ricorso al Tar. La causa? L’uso di un tappo a clip, cioè a molla, che non è consentito nei vini in vendita. Per dirimere la questione è dovuto intervenire il Consiglio di Stato che ha dato ragione al Consorzio Tutela Prosecco. Pertanto oggi abbiamo solo tappi consentiti.
Tre produttori di Vicenza hanno fatto ricorso sull’assegnazione di nuovi impianti per 997 ettari in Veneto e 222 in Friuli. Il T.A.R. Veneto ha bloccato le assegnazioni in quanto il bando attribuiva punteggi in modo irrazionale: intendeva agevolare nuove aziende costituite da giovani under 40, costituite da non più di due anni , con il requisito di essere in possesso di una conformità ottenibile solo dopo il terzo anno di attività. Insomma un no sense all’italiana.
Così continua la guerra delle carte bollate.
La Guerra delle Bollicine
Visto l’esubero di produzione di quest’anno, le telecamere poste all’ingresso delle cantine, la corsa ai nuovi impianti, la corsa all’oro del Nord Est non sembra attenuarsi. Ma per quanto ancora un territorio, e il mercato, potranno sostenere il Prosecco? Le prime avvisaglie ci sono già, con il calo dei prezzi dell’uva, quest’anno scesa sino a 16 euro al quintale. Che sia davvero finita la corsa al Prosecco? L’ oro del Nord Est è finito tra le carte bollate ?
Daniele De Sanctis