Centri antiviolenza: alla vigilia della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, l’Istat ha pubblicato la sua prima indagine a riguardo. Il dato più importante che emerge è il numero di donne che si sono rivolte a questi centri: solo nel 2017 sono state 49mila (il numero preciso è 49.152).
Per l’indagine sui centri antiviolenza l’Istat ha lavorato in collaborazione con tre enti: il Dipartimento Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio, le regioni e il Consiglio Nazionale della Ricerca (Cnr – Irrps).
I centri antiviolenza in Italia
Sono case rifugio e centri di accoglienza per donne vittima di violenza (fisica, sessuale, psicologica). In Italia ci sono 281 centri antiviolenza rispondenti ai requisiti dell’Intesa – una legge che regolamenta tali centri – ma solo 253 hanno risposto all’indagine.
La distribuzione dei centri antiviolenza non è omogenea nel territorio nazionale: il 44% si trova nel Nord, il 34% al Sud invece e solo l’8% nelle isole. In media, un centro prende in carico 115 donne: al Nord in media 170 mentre al Sud 47.
Molti centri sono reperibili ventiquattro ore su ventiquattro, con segreteria telefonica e numero verde per quelli che non lo sono. Quasi la totalità dei centri aderisce al numero antiviolenza 1522.
I centri antiviolenza hanno dei rapporti solidi e di rete con altri enti nel territorio locale. Ciò significa che spesso indirizzano le donne a rivolgersi ad altri servizi più mirati presenti nel territorio. Più della metà delle donne prese in carico da questi centri ha dei figli e viene accolta insieme ai proprio bambini. Solo il 27% delle donne accolte sono straniere. Delle quasi 50mila donne che nel 2017 si sono rivolte ai centri antiviolenza, più della metà ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza, per tornare a inserirsi nella società dopo aver superato il trauma.
Cosa succede nei centri antiviolenza?
Lo scopo primario dei centri è accogliere e ascoltare le donne vittime di violenza. Oltre a questo, però, tali centri offrono sostegno pratico: il più importante è il supporto legale, che va di pari passo con quello psicologico. I centri offrono anche orientamento per spostarsi ad altri servizi e aiuto nel percorso di allontanamento e distaccamento dal maltrattante. È fondamentale anche l’orientamento nella ricerca di un lavoro e di un nuovo alloggio. Inoltre sempre più centri si occupano anche di supporto ai minori coinvolti, che spesso sono i figli della vittima.
Chi lavora nei centri antiviolenza è nella metà dei casi una volontaria.
Norme e fondi pubblici
La normativa italiana deriva dall’adesione del nostro Paese alla Convenzione di Instabul (2011), che riconosce la violenza contro le donne quale violazione dei diritti umani. La legge 119 del 2013 (“Legge in materia di contrasto alla violenza di genere”), oltre a stabilire ad esempio che la pena è aggravata se chi commette reato è il coniuge, il compagno o l’amante, stabilisce anche l’esistenza, i compiti e la modalità di ripartizione dei centri antiviolenza.
Per l’assistenza telefonica è attivo il 1522, numero antiviolenza e antistalking.
Cosa (non) dicono questi dati
Quello che emerge dall’inedita indagine dell’Istat è che in Italia si consuma ancora un gran numero di violenza contro le donne, ma forse sta diminuendo la paura di denunciare o di risolvere la situazione. L’indagine dice quante donne, vittime, si sono rivolte ai centri per richiedere aiuto. Ma quante ancora non lo hanno fatto? Quello che sappiamo con certezza è che la violenza purtroppo non è in calo: nei primi 9 mesi di quest’anno sono avvenuti 32 femminicidi.
Il compito dei centri antiviolenza è necessario e indiscutibile, tuttavia mancano ancora le risorse culturali per minare il problema alla base: ricordiamocelo e non lasciamo che anche quest’anno la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne passi invano.