Stendhal lo soprannominò il “Napoleone della Musica”, ma Gioachino Rossini non è stato solo un grande artista.
Il compositore pesarese, di cui ieri sono stati ricordati i 150 anni dalla morte, è universalmente riconosciuto come una delle più fulgide stelle della musica operistica italiana. In un periodo non certo facile per il bel canto, Rossini riuscì a mettere in pratica le sue incredibili doti creative, unite a quella vivace genialità nel delineare un virtuosismo melodico efficace e proporzionato all’ascolto.
Quello che rimane impresso della figura di Gioachino Rossini è il suo spirito provocatorio, che poteva essere ironico e romantico al tempo stesso. Una passione che il “cigno pesarese” mise in tutta la sua produzione operistica, ispirata alle esperienze della vita e alla curiosità verso mondi apparentemente differenti; ad esempio la cucina, gli scandali e il gentil sesso.
Fu gaudente e gioviale il Rossini, nonché grande amante della bellezza, ma fino a cinquant’anni fa pochi conoscevano la sua intera produzione operistica (5 opere solo nel 1812 e 33 composte e rappresentate dal 1810 al 1823); basti pensare che alla commemorazione dei 100 anni dalla morte nel 1968, Il Barbiere di Siviglia era la sola opera conosciuta dalla maggior parte del pubblico. Un doppio scacco per colui che al suo tempo era l’equivalente di una Rock Star degli anni ’70 (ogni paragone con i “fenomeni” musicali odierni è volutamente rigettato).
In compenso molti saranno felici di sapere che Gioachino Rossini fu, in linea generale, un padre dell’Europa, proprio per come la conosciamo oggi.
E’ difficile stabilire una reale connessione fra il pensiero politico del musicista e la nascente società della nazioni; eppure il nesso c’è.
Non è un caso infatti che, diversi anni prima della sua morte, Gioachino Rossini aveva potuto assistere alla pianificazione di quelle che sarebbero state le basi della futura Unione Europea e anche dell’ Unità d’Italia.
Come tutti i grandi intellettuali, pronti a guardare oltre l’immaginario comune, anche Gioachino Rossini riuscì a intravedere la possibilità di un’era di armonia, pace e uguaglianza fra i popoli ed è per questo che potrebbe essere considerato un padre spirituale dell’Europa.
Molti però non sanno che il Rossini ha anche un primato più nazional-popolare: a lui si deve infatti il primo Inno all’Unità d’Italia.
Tutto ha origine intorno al 1815, quando egli, poco più che ventenne, conosce Gioacchino Murat. Il generale francese e futuro Re di Napoli, dopo aver assistito alla sua opera buffa L’italiana in Algeri, intuì in quel finale politico la potenza evocativa con la quale la protagonista Isabella esaltava il riscatto di quella che, non a caso, veniva chiamata patria.
Pertanto Gioachino Rossini ricevette da Murat l’incarico di scrivere dei versi dedicati alla “Legione civica Romana”. Il risultato fu un componimento su testo del poeta Francesco Ilari, nel quale egli riuscì a unire lo stile neoclassico in un linguaggio evocativo, perfettamente in sintonia con i tempi di una prossima rivoluzione.
Sorgi Italia che l’ora è venuta; queste sono le poche strofe giunte ai giorni nostri, poiché l’opera è andata quasi interamente perduta, eccetto la partitura.
Restano le testimonianze della prima esecuzione ad opera dello stesso maestro, ma è possibile individuare, in questi primi versi, un segno forte e tangibile di una modernità artistica e filosofica capace di anticipare, a distanza di 150 anni, i tempi di una rivoluzione e una rinascita che i popoli europei stanno ancora aspettando.
Fausto Bisantis