Capita spesso, in giornate di totale disconnessione cerebrale, di chiedermi quanti e quali problemi danneggiano, giorno dopo giorno, il mio cervello.
Immaginiamoci un coro ben assortito, intonato, piacevole all’udito. Bene, ora proviamo ad pensare a cosa potrebbe succedere se, in un’esecuzione di tenori, partisse un acuto, cantando la stessa armonia, ma in chiave totalmente differente. Stonata. Insensata.
Errore imperdonabile, melodia rovinata. Il direttore d’orchestra fermerebbe immediatamente il coro. Fuori tempo. “C’è qualcosa che non va, cantate uno alla volta, subito, e vediamo chi sta fuori”.
Le incredibili capacità del nostro cervello, ci aiutano a percepire l’errore. E se non lo capissimo?
Questo può succedere ad una persona che soffre di disconnesione cerebrale.
Sentirsi disconnessi con il mondo. Può succedere, e di certo non è piacevole.
Se una cantante sta intonando lo stesso pezzo, la stessa melodia, ma in una chiave totalmente sfalsata, rimarrà certamente indietro, farà fatica a recuperare il gruppo, e chi sta avanti, certamente non la aspetterà.
Ora immaginatevi di assistere al concerto di questo gruppo di cantanti, la boyband del momento, tutto voci, cuori che battono all’unisono, e mutandine lanciate sul palco. Durante l’esecuzione, è raro che tutti i cantanti, così come gli strumenti, suonino nello stesso momento. Noi in platea restiamo attoniti ad apprezzare il risultato d’insieme, senza coglierne gli eventuali errori, e/o le incertezze, che inevitabilmente accadono. Perchè questo?
Perchè il nostro cervello corregge continuamente, raffina gli errori di esecuzione, ed è proprio grazie a queste incredibili capacità che noi impariamo a crescere, a stare insieme agli altri, in totale armonia, a stare bene con il nostro corpo, a muoverci nell’ambiente circostante. Possono sembrare qualità scontate, ma credetemi, senza la totale connessione degli emisferi cerebrali del nostro cervello, non solo non potremmo apprezzare la new hit della nostra boyband, ma con tutta probabilità non lanceremmo neanche le nostre mutandine sul palco.
Esiste una patologia, la sindrome da disconnessione funzionale, una sindrome curiosa, bizzarra, ed altrettanto drammatica, che ha stimolato attivamente il mio emisfero emozionale, eccitando i miei neuroni, che si sono lanciati in una miriadi di sinapsi.
La disconnesione interemisferica è una disconnesione che avviene tra le aree cerebrali, che sono poste in emisferi cerebrali differenti. Tutti sanno che il cervello è diviso in due emisferi, non è di certo una novità; vi è il sinistro e il destro, suddivisi da una linea mediana fondamentale, chiamata scissura interemisferica.
Detto questo è utile, forse, fare una breve panoramica su come appare questo nostro organo fondamentale e misterioso, in modo da rendere tutto più semplice e comprensibile, anche per chi è digiuno di cervelli.
Il cervello è la più vasta regione dell’encefalo, e presenta le aree motorie, sensitive, associative. I due emisferi, sopracitati, sono ricoperti quasi interamente dalla corteccia cerebrale, e sono quasi interamente separati dalla scissura longitudinale. Restano uniti l’uno all’altro soltanto grazie ad una spessa striscia di sostanza bianca, chiamata corpo calloso. Quanto è importante la nostra sostanza bianca? Non sarà certo la tanto venerata materia grigia, certo, ma se la porzione interna del telencefalo è prevalentemente costituita da questa… Ci sarà un motivo, giusto?
Ed è proprio così. Le fibre che la compongono si possono classificare in associative, commesurali, e fibre di protezione. Protezione, tenetelo bene a mente. Se manca questa, manca tutto. E neanche la materia grigia più sviluppata del mondo potrà mai salvarci.
Ora, cosa potrà mai succedere a quei soggetti in cui il corpo calloso manca di funzionalità?
Sono cose a cui uno non pensa mai, ma ogni piccola zona del nostro cervello svolge funzioni fondamentali, e contribuisce a farci stare bene con noi stessi.
Cosa succederebbe se i due emisferi funzionassero indipendentemente l’uno dall’altro? L’informazione potrebbe arrivare nell’emisfero destro, ma non in quello sinistro; ergo, beh le decisioni consapevoli verrebbero prese senza a tener conto delle informazioni sensitive provenienti dall’altro emisfero.
Immaginiamo ora un bambino che possiede l’emisfero destro che si sviluppa lentamente.
E’ vero, lo sappiamo tutti, l’emisfero sinistro è di certo quello fondamentale; entra in gioco nei processi analitici, il calcolo matematico, e nella facoltà di prendere decisioni utilizzando la logica.
Ecco, di certo il mio deve avere qualche difetto di fabbrica, tipo qualche compressione.
Ma riusciamo lontanamente ad immaginarci una vita senza emisfero destro? Senza la capacità di analizzare le informazioni sensitive, e senza la competenza di mettere in relazione il nostro corpo con il resto del mondo?
Di certo il bambino in questione avrà difficoltà nell’apprendimento, in quanto non gli risulterà facile percepire i concetti astratti, espressi nella scrittura, celati dalle parole. Come la felicità, la gioia, la paura. Non coglierà l’ironia di una smorfia, il senso metaforico di una battuta.
Teniamocelo stretto questo nostro emisfero destro.
Influisce anche nel riconoscimento dei volti, nelle emozioni, nella percezione delle sfumature più interessanti che la vita ci offre. E cosa colora maggiormente la nostra esistenza, se non la sfera emozionale?
Un’esistenza senza emozioni? No grazie.
Le persone affette dalla sindrome da disconnessione funzionale sono diversi dalle altre; in quanto sentono, vedono, vivono, si approcciano al mondo in maniera totalmente differente.
E’ una patologia drammatica, si. Ma sono qui anche per raccontarvi la speranza, e la gioia, che accoglie la diversità. Siamo al mondo, noi umani, per non omologarci, come belle statuine di un presepe, ma per fare delle differenze il nostro punto di forza. Sono queste a renderci assolutamente unici ed irripetibili.
Ed ora, le mie sinapsi neuronali, corrono lungo una via immaginaria di estrema emotività, elencandovi una serie di verità. Perchè si sa, la verità fa male, ma va affrontata.
Le persone affette dalla sindrome di disconnessione cerebrale non sono sincronizzati con il mondo circostante, né con il loro corpo. Non hanno un’esatta percezione di loro stessi. Può sembrare che osservino lo spazio infinito ininterrottamente, come se fosse la cosa più interessante del mondo. Sono facilmente disorientati e distraibili, da ogni cosa che vedono, odono, sentono. Questo può rendere difficile la concentrazione, ma magari, questi vedono l’invisibile, forse hanno la possibilità di andare oltre alla realtà apparente, oltre ai nostri maledetti preconcetti. Sono socialmente ed emotivamente disconnessi. Non sono in grado d’intuire il legame che intercorre tra il movimento e la sensazione.
Ma il nostro cervello possiede una plasticità disarmante, può cambiare, è mutevole, si evolve continuamente. Non c’è da stupirsi, dunque, se l’impossibile diventa il probabile, e nel tempo diventa l’inevitabile.
Immaginiamoci la nostra adorata boyband ai suoi esordi. Ora i cantanti sono certamente ben assortiti, intonati, piacevoli all’udito. Ma questo è potuto avvenire a seguito di un intenso e duro lavoro. La fatica porta soddisfazioni, e anche quella vocina stonata, fuori dal coro, ha potuto amalgamarsi alla tonalità dei colleghi, o diventare il loro punto di forza. Non credete?
Il cervello è materia plastica, si. Può cambiare. Il problema ha un soluzione, signore e signori. Niente è impossibile al nostro organo perfetto. Lo squilibrio può essere corretto, le aree deboli possono essere correttamente stimolate, e recuperare terreno fertile, rispetto alle aree più forti.
Tutto può essere riconnesso, e tornare alla sincronizzazione del coro. E non sono i farmaci la soluzione, ma unicamente una continua stimolazione.
Mi sono imbattuta frontalmente in un dato interessante, alcuni giorni fa, che ha stimolato attivamente la mia infinita ed ossessiva curiosità.
E’ stimato che il cervello di un neonato abbia circa 100 miliardi di cellule cerebrali.
Esistono dunque più connessioni nella testa di un bambino, che granelli di polvere sul mio davanzale. E’ calcolato che all’età di 6 anni un bambino abbia circa 1000mila miliardi di sinapsi. Mica caramelle. Un potere di processare informazioni pressochè illimitato.
La sindrome da disconnessione, in conclusione, è una patologia drammatica si, ma le conoscenze moderne ci portano a credere che la speranza esiste, è viva è palpabile.
Quando un cervello si desincronizza si ha lo scenario di una barzelletta, una scena comica, che fa ridere tutti, ma non significa assolutamente nulla per te. Tutti dovremmo poter percepire la nostra rabbia, agitazione, gioia, felicità. E questo si può ottenere soltanto grazia alla neuroplasticità del nostro cervello, un campo nel quale si stanno ottenendo bellissimi ed incoraggianti risultati.
Stimolare potrebbe essere la chiave giusta, per aprire tutte le porte chiuse del nostro organo fondamentale ed insostituibile, senza il quale, non siamo altro che polvere sul mio davanzale.
Elisa Bellino