Questo è il caso di una rivoluzione in campo prospettico, che rompe con gli schemi rassicuranti visivi di un solo punto di vista, senza scardinare il regime del buon gusto (raro nella nostra epoca). Onore al merito all’artista capace di questa innovazione.
Patrick Hughes nasce nell’ottobre del 1939 a Birmingham. Ha studiato presso il “James Graham Day College” a Leeds. Dopo aver insegnato al “Leeds College of Arts”, intraprende la strada dell’artista indipendente. Il suo palcoscenico lavorativo sarà Londra principalmente.
Nel luglio del 2011 con due esibizioni, al Flowers East e al Flowers Cork Street, ha festeggiato cinquanta anni di carriera.
I suoi primi lavori subiscono la fascinazione del giocoso, dà luogo a varie sperimentazioni quali il mettere a rovescio gli oggetti o a schiacciarli tra loro, come in “Clown” (1963) e “Liquorice Allsort” (1960). Esplora ossimori visivi e paradossi. Parole versus immagini come in “One Two”. L’illusione della prospettiva lo affascina e la prima opera che ne porta l’esempio è “Infinity”. Prosegue nella sua indagine percettiva con studi sull’arcobaleno in “Pile of rainbows” e “Prison rainbow” nel 1973. Il suo iter artistico lo condurrà a stravolgere le regole prospettiche e a giocare con le illusioni ottiche.
Noto per aver creato la “Reverspective”, ovvero la prospettiva inversa, la definirà quale pittura tridimensionale che dà l’impressione di essere realizzata su una superficie piatta, mentre guardandola lateralmente ci si accorgerà della profondità e del volume dell’opera. Questo disorienta e sorprende lo spettatore, che si trova smarrito rispetto ai suoi canonici riferimenti prospettici. L’effetto illusorio è reso possibile dall’artificio tecnico dei punti più sporgenti e più lontani dalla rappresentazione, realizzati come lo sfondo della scena. Il rilievo della superficie crea questo effetto ottico.
Il primo esempio di tale tecnica è “Sticking out room” (1964), una camera a grandezza naturale per l’”Institute of Contemporary Art”. Dopo i suoi lavori degli anni novanta, “Up the line” e “Down the road”, la sua concezione di arte si diffonde e conquista l’attenzione in numerose rassegne artistiche nelle principali città del mondo, da Londra a Toronto, Chicago, New York, Seul.
La sua opera “Paradoximoron” è al momento attuale esposta alla British Library, rappresenta una pila di libri disposta in modo tale che sembra muoversi a seconda dello spostamento dello sguardo dello spettatore.
Evidente l’influenza che i surrealisti hanno avuto sulla sua idea di arte, da Magritte a Marcel Mariën.
La sua creatività si è manifestata anche nella stesura di alcuni libri, come “Paradoxymoron: Foolish Wisdom in Words and Pictures” (2011), “Vicious Circles” e “Infinity: A Panoply of Paradoxes”. Le tematiche trattate sono parallele alle sue indagine artistiche.
Andare oltre i limiti del visibile e esplorare i paradossi del mondo sensibile.
Le soluzioni immaginarie sono il vivere e il cessare di vivere, l’esistenza è altrove (A. Breton).
L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è (P. Klee).