Nella mostra cinematografica di Venezia dell’anno scorso il film di Abdellatif Kechiche (1960) aveva scatenato molte reazioni contrastanti. Il suo stile non lascia indifferenti: l’uso del corpo, soprattutto femminile, ha fatto uscire fuori le solite critiche di femministe e moralisti; i cinefili invece sono rimasti in estasi.
La creazione del film così dibattuto e vincitore morale della rassegna, come molti hanno fatto notare, è stata lunga, ispirata da romanzo di Bégaudeau La blessure, la vraie, testo stravolto dal regista stesso.
La storia ci porta a Sète, in Occitania, dove il giovane sognante sceneggiatore Amin (Shaïn Boumedine) ritorna nell’agosto del 1994. Timido e voyeur, ama in silenzio la sua amica Ophélie (Ophélie Bau), ragazza di campagna seducente e spigliata sessualmente e amante occasionale di suo cugino Toni (Salim Kechiouche).
La sua passione per la fotografia gli permette di affilare uno sguardo sul mondo e sulle sue novità. Ma l’amore è alle porte e non fatica a mostrarsi in silenzio.
Prima parte di una trilogia, Mektoub, my love è un’opera sulla formazione di uno sguardo e di un modo di approcciarsi al mondo. Il corale è qui più pronunciato che nel film La vie d’Adéle e molto più pressante attorno al protagonista. Non ci sono più la città o il colore blu a far da padroni ma la luce agreste del Sud Ovest francese, la campagna in cui vengono alla luce due agnellini e il mare bacia i belli.
Ciò che è giovane, smagliante, vigoroso attrae lo sguardo di Kechiche che sfodera perfino venti camere nella scena della discoteca per cogliere ogni aspetto dei corpi di donna mostrati. Tra questi, peraltro, v’è quello della sua attrice feticcio Hafsia Herzi, protagonista del suo altro, precedente capolavoro Cous Cous.
Con il regista la preparazione massiccia viene bruciata col fuoco della naturalezza. Tutto sembra spontaneo per dare idea della vita che si dipana sotto ai nostri occhi. Tale esperienza non è per tutti: la durata e la persistenza dello sguardo kechichiano non sono per tutti. Ma chi ama il suo modo di guardare il mondo sarà ricompensato felicemente.
Antonio Canzoniere