Il peggior Pd e l’asino di Buridano
Il Congresso del Pd sembra apparentemente a un bivio: spirare nelle fauci cariate della megalomania renziana o morire con dignità?
Sia ben chiaro, il risultato non cambia… cambierebbe unicamente “lo stile”. Una cosa è essere sparati a suon di coriandoli dal cannone del circo e mancare la rete e un’altra è essere mortalmente investiti dalla macchinetta a molla guidata dai clown.
Insomma una scelta deve esser fatta, non si può rimandare a iosa. Già Martina è palliduccio, altri due mesi a gridare in quel pu*tanaio: “tocca a me, tocca a me!”, e quello mi diventa Fassino.
I paradossi non ci vengono in aiuto, però possono chiarirci le idee, quindi vorrei ricordare l’apologo dell’asino di Buridano, anche se il filosofo francese non ne è sicuramente l’ideatore.
Un asino affamato e assetato, posto a metà tra due identici mucchi di fieno e due secchi d’acqua sarà incapace di determinare dove dirigersi e quindi, con ogni probabilità, resterà al suo posto morendo di fame e di sete.
A voler essere pratici il dilemma è facilmente risolvibile. Basta stabilire da che parte tira il vento; perché l’animale – ingiustamente ritenuto stupido – andrebbe a semplicemente naso; e questa semplicistica soluzione (che offende in un sol colpo Popper, Spinoza e Leibniz) ci fa però ben comprendere sia le origini del renzismo e sia il funzionamento della gestione del potere da queste parti: per i nostri asini “democraticamente votati” è sempre e solo bastato capire dove tirava il vento.
Ma adesso non è questo che mi preme sottolineare – l’ovvio è sempre poco interessante –, bensì vorrei entrare nel senso del paradosso, cioè discutere della libertà di scelta. L’intelligenza (meglio non usare la parola intelletto anche se sarebbe più calzante) è posta di continuo davanti a scelte, alcune di queste potranno sembrare a prima vista pressoché identiche, ma – e qui sento di dar ragione a Leibniz -, in realtà non lo sono mai del tutto.
Dunque la materia grigia (quando c’è) elabora, valuta e sceglie, poi, con un atto di volontà, realizza questa scelta.
Ogni scelta, però, genera conseguenze: alcune potranno essere felici, altre meno, ma una volta scelto tendiamo quasi sempre a dimenticare che siamo sempre in grado, nella misura del possibile, di operare al suo interno.
Cioè nulla è fatale se la nostra volontà resta sempre in grado di operare, di agire attraverso la nostra intelligenza e quindi di compiere altre scelte all’interno di essa. Insomma … un po’ più di ingegno, di immaginazione e di volontà e, casomai, senza fatalismo, riusciremmo ad esser meno in balia della nostre decisioni. Però ci piace così tanto dare la colpa agli altri che quando siamo soli davanti alle nostre scelte riusciamo a trovare un capro espiatorio “fincanco” nel destino.
Arrivati a quel punto morto, comprensibilmente, la volontà si blocca! Il continuo rimuginare non si traduce mai in azione, in un atto di volontà e, infine – in una immobilizzante “coazione a ripetere”-, facciamo puntualmente la fine dell’asino di Buridano: tiriamo le cuoia nel bel mezzo dell’indecisione, inconsapevoli che con la nostra pellaccia ci faranno tamburi per la tarantella. Tanto che ci frega … saremo morti.
Buridano non era Epimenide, il suo – o quasi – non è un paradosso, ma più che altro un dilemma che evidenza i nostri stalli, la funesta influenza del dubbio e … credeteci, di stalli e dubbi ne abbiamo tanti. Siamo amletici per stagnazione.
Da questo punto di vista, però, il Pd è addirittura avvantaggiato.
Nel caso di un partito già agonizzante, non si tratta di scegliere tra due soluzioni apparentemente identiche, bensì tra due guai, e lì c’è poco da scegliere… a questi asini basta dirigersi verso “il meno peggio” e salvare quel minimo di faccia che è rimasto, e quella faccia non può essere certo quella di Renzi … e anche quel coglione dell’asino di Buridano lo capirebbe.
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