Della natura complessa che alimenta la cultura del Sud Italia chiunque potrà accorgersi per le fittissime ramificazioni, a partire dalla cultura partenopea per concludere con lo spirito siciliano.
Quello calabrese rimane sempre in penombra, non comprensibile con i canoni degli altri. Innanzitutto si parla di un mondo che, per quanto impregnato della cultura greca, ha mantenuto un distacco perfino da questo cosmo etnico e spirituale che gli ha fatto da genitore e rimane tuttora aereo e non facile da cogliere.
Gli autori calabresi si sono mantenuti fin dall’Ottocento sopra un piano di narrazione sociale, di racconto e denuncia popolare, senza però uscire mai dai confini che s’erano imposti. Molto spesso non avevano il mordente per far capire la Calabria, che rimane senza voci valide. Eccetto qualcuna.
Quella di Franco Costabile (1924-1965), poeta di Sambiase, paese della piana di Sant’Eufemia poi unitosi con altri due per fondare Lamezia Terme alla fine degli anni ‘60, fonde la tradizione ermetica con gli scenari popolari, con il dolore non solo della Terra ma anche personale.
L’abbandono e le sinestesie, le malinconie, i quadretti veloci ed evanescenti delle sue poesie si ergono a manifesto di una vita che sente profondamente la voce del suo ambiente e si lascia quindi penetrare dal suono ascoltato.
La Calabria, dimenticata e costretta al vuoto per le migrazioni, è anche priva di una guida, di un amore da una figura “altra”, parentale e fa da specchio al sentimento del poeta. Costabile crebbe legatissimo alla madre, lontano da un padre emigrato che lo lasciò senza una figura importantissima nel suo sviluppo.
La moglie, sua ex-allieva e madre delle sue due figlie lo lasciò pochi anni prima del suicidio di lui avvenuto a Roma nel 1965.
La forte amicizia con Ungaretti, suo maestro, lo aveva spinto ancor di più verso la poesia. Ma se Ungaretti preferiva un approccio più aereo, orientale, molto vicino alla poesia araba e giapponese pur senza accorgersene, Costabile procedeva per accostamenti più vividi di immagini e ricordi, come i piccoli, essenziali dipinti quelli di un sobrio salotto le cui pareti sono disseminate di quadretti di un mondo che è sia interiore che esteriore.
Il vino buono sta nella botte piccola: ma qui non si tratta tanto della dimensione delle poesie quanto della gestione del verso, a volte composto di poche parole scelte alla perfezione e disposte in un ritmo non musicale quanto basato su d’una vibrazione la cui onda trascina l’immagine.
Costabile si può vedere vicino, per motivi tematici al pugliese Vincenzo Bodini, che punta più ad un tono enunciativo e scorrevole ma in molte cose lui s’incontra a metà strada, per le immagini di grande dolcezza che s’aprono e squarciano il verso, con molte immagini del decadente Catulle Mendes. La sua raccolta più famosa è La rosa nel bicchiere del 1961, preceduta da La via degli ulivi del 1950.
Ecco un assaggio di uno dei suoi componimenti più belli:
La rosa nel bicchiere
Un pastore un organetto il tuo cammino.
Calabria, polvere e more.
Uova di mattinata il tuo canestro.
Calabria, galline sotto il letto.
Scialli neri il tuo mattino di emigranti.
Calabria, pane e cipolla.
Lettera dell’America il tuo postino.
Calabria, dollari nel bustino.
Luce d’accetta l’alba dei tuoi boschi.
Calabria, abbazia di abeti.
Una rissa la tua fiera
Calabria, d’uva rossa e di coltelli.
Vendetta il tuo onore.
Calabria in penombra, canne di fucili.
Vino e quaglie, la festa ai tuoi padroni.
Calabria, allegria di borboni.
Carrette alla marina la tua estate.
Calabria, capre sulla spiaggia.
Alluvioni carabinieri, i tuoi autunni.
Calabria, bastione di pazienza.
Un lamento di lupi, i tuoi inverni.
Calabria, famigliola al braciere.
Francesco di Paola il tuo sole.
Calabria, casa sempre aperta.
Un arancio il tuo cuore, succo d’aurora.
Calabria, rosa nel bicchiere.
Antonio Canzoniere