La fotografia è il linguaggio del nostro tempo, diceva, non potrebbe esistere un evento senza l’immagine. E noi fotografi siamo gli interpreti, i narratori speciali dotati di quella sensibilità che ci permette con una sola immagine di poter immortalare l’essenza del fatto.
Queste sono le parole di uno dei più grandi fotografi del XX secolo, venuto a mancare qualche giorno fa. Stiamo parlando del fotografo che ha reso ancora più speciale e misteriosa la città di Venezia: veneto, 89 anni, malato da tempo, Fulvio Roiter aveva trasformato la città lagunare in un teatro in bianco e nero, un vasto set per le sue fotografie. Eppure, nella sua arte nulla era preparato, la sua macchina si affidava al caso e al mistero, creando qualcosa di irripetibile. Così Alberto Moravia si espresse sulla poetica di Roiter: “Fulvio Roiter è un fotografo che giustifica la mia idea che la fotografia quanto più è bella tanto più è misteriosa. Le fotografie di Roiter sono spesso molto belle; dunque altrettanto misteriose? naturalmente questo non succede con tutte le fotografie e con tutti i fotografi”.
Fulvio Roiter, ben prima di essere citato da Moravia, doveva diventare il suo nome, doveva farsi conoscere: il suo primo successo fu nel 1954, con un volume in bianco e nero dal titolo Venise a fleur d’eau (primo volume fotografico ad opera di un italiano): in quel momento cominciava a costruire la “sua” Venezia. Si sa, un luogo conserva il suo mistero fino a quando è vissuto da poche persone; una città come Venezia, “invasa” da migliaia di turisti l’anno, non poteva di certo custodire il proprio fascino ancora a lungo. Eppure, grazie alla fotografia di Roiter, la città sull’acqua è riuscita a mantenere il suo spirito immortalato sulla pellicola, il suo mistero si è salvato non dall’acqua ma dal turismo di massa grazie ad un poeta con una Leicaflex al collo.
Non c’è soltanto la laguna nella camera oscura di questo grande artista, ma anche l’Umbria di San Francesco trova un posto nel suo album, vincendo nel 1956 il prestigioso premio Nadar con il volume Ombrie terre de Saint François.
Scorrendo la sua vita come un album di fotografie, pagina dopo pagina è un crescendo di luoghi e di avventure: importanti reportages ci raccontarono la Sicilia, l’Andalusia, il Brasile e l’Amazzonia. Un anno dietro l’altro trovò “casualità e mistero” nei luoghi più lontani: Persia (1964), Turchia (1965), Messico (1966) e Libano (1967): negli anni ’70 fu sedotto dall’Africa e si imbarcò con la sua attrezzatura verso i villaggi della Costa d’Avorio.
In ogni paese in cui approdò, la curiosità traboccava dalla sua persona e restituiva scatti unici e singolari una volta ritornato in patria, nel suo Veneto.
Roiter ha esportato in tutto il mondo il fascino di Venezia, una “Venezia secondo Roiter” in cui regna ancora il “casuale mistero” degli anni ’50.