Mia nonna me lo diceva sempre: non lasciarti sovrastare dall’ansia, non è nient’altro che uno stato d’animo, come è arrivata, se ne andrà. Puoi cogliere ciò che di bello può offrirti, perché nulla accade per caso, e anche una situazione spiacevole può insegnarti qualcosa.
Annoda i tuoi capelli, bambina mia, annodali, più stretti che puoi, e imprigiona le emozioni negative nella morsa di un laccetto colorato. Ti servirà ad impegnare la mente, le mani, la testa.
Accade sempre quando meno te lo aspetti. Anzi, quando in realtà sai che dovresti aspettartelo, ma ancora non smetti di sperare. Di sperare che una volta tanto qualcosa possa andare bene anche a te. E invece arriva lei.
Sento di dover chiedere scusa a me stessa, perchè mi sono lasciata sovrastare dall’impeto degli eventi; sono stata trasportata, some uno stelo d’erba in piena tempesta, lontano dal mio campo, dalla mia casa, dal mio cuore.
Ho incanalato i miei pensieri negativi, scavando una fossa proprio lì, tra la cassa toracica e lo stomaco, pronta ad espellerli non appena ne avessi avuto l’occasione. Ho drammatizzato la mia vita, proprio come in una commedia teatrale, carica di mistero, speranza, angoscia, suspense, dove il pubblico, altro non era che l’altra parte di me. Ho scenografato, scena per scena, il dramma della mia esistenza, ho interpretato il ruolo di me stessa in mille occasioni diverse, costruendomi maschere di gomma, finti sorrisi, convenevoli, frasi d’occasione, solo per non sprofondare in una realtà che mi stava fagocitando viva.
Altro non restava, in superficie, che un involucro vuoto, con il mio viso pulito, i miei capelli, sempre troppo lisci e perfetti, e quel fisico minuto, che credevo potesse sopportare ogni avversità.
Devo chiedere scusa a me stessa, e anche a mia nonna, perchè ho lisciato i miei capelli, lucidandoli, giorno dopo giorno, con quell’olio profumato. Non li ho annodati, con le mie leste dita, ma ho permesso che l’ansia circolasse libera dalla morsa capelluta.
Quel mostro che si alimentava dentro di me, aveva la fragranza di quel profumo che mi spruzzavo generosamente addosso, ogni giorno, e si nutriva di ogni finto sorriso.
Si alimentava della mia adrenalina, quella sostanza che liberavo dal mio corpo, ogni qual volta il mio sistema nervoso intercettasse un pericolo nell’ambiente circostante, quell’ambiente che mi avvolgeva sempre troppo stretta. La mia adrenalina fuoriusciva costantemente, in quel periodo, mi aiutava ad aggrapparmi alle mie certezze, che vacillavano sempre di più; o alla ringhiera dell’infinita rampa di scale, di quella casa, dove vivevo ormai da anni, ma che ancora non chiamavo casa.
Ancora non la riconoscevo, ma l‘ansia, mi accompagnava come un cagnolino fedele, seguendo ogni mio passo. Permetteva che mi allontanassi dall’olio bollente che scoppiettava ovunque, quando friggevo un uovo; autorizzava le mie gambe a fuggire alla vista di un leone, metteva in moto quella parte di me dormiente, aiutandomi ad agire in tempo, prima che si verificassero situazioni disastrose.
E’ per questo che vedevo nell’ansia, la mia migliore alleata.
Ancora non la chiamavo con il suo nome, ma sapevo che c’era, ne percepivo l’essenza.
Ma nell’istante stesso in cui la mia adrenalina veniva liberata, quel mostro di nome ansia, si svegliava dal suo letargo, solo al sentire il profumo del suo alimento preferito: la mia anima. Si alimentava dentro di me, quando il cuore ancora mi batteva in gola, e non accennava ad arrestarsi.
Intanto drammatizzavo la mia intera esistenza, ora dopo ora, in diretta, illudendomi di poter spegnere semplicemente un dispositivo, per mettere uno stop a quel malessere che celavo dentro, in quella fossa scavata tra la cassa toracica e lo stomaco.
Devo chiedere scusa ai miei genitori, perchè sono stata una figlia fintamente perfetta; una di quelle ragazze che non si fermava mai, con mille idee in testa, coraggiosa, pronta a scottarsi con il fuoco, e a sfidare l’universo.
Devo chiedere scusa ancora a me stessa, perchè sono nata nuda, ma ho permesso alla mia persona, con il trascorrere degli anni, di vestire i panni di altri individui. Ho acconsentito di appesantirmi le braccia di egoismo e prepotenza, come braccialetti da sfoggiare, mi sono colorata gli occhi di un nero petrolio,che trascinava i resti maciullati di tutte le mie ingiustizie, e quelle verità, che morivano insieme a milioni di parole mai pronunciate. Indossavo jeans troppo stretti, che impedivano alla mia mente di pensare, soffocata com’era, da un ammasso di invasivo tessuto; e mi coloravo le unghie di colori freschi e primaverili, perchè, anche se splendeva il sole, io portavo la tempesta nel cuore.
Devo chiedere scusa a me, ai miei genitori, a mia sorella, alle amicizie che mi sono alienata, perchè credevo di non potermi permettere quei momenti di infinita gioia e spensieratezza, che si godono quando si trascorre del tempo di qualità con le persone giuste. Ero un fulmine in una giornata serena, quella spina nel fianco che non ci pensa neanche a spostarsi, e non ti lascia libere le cavità respiratorie. Ero quella maledetta lisca che ti si conficca in gola, nel momento in cui gusti il filetto di pesce che ti piace tanto. Ero tutto e niente. Nessuno, e qualunque cosa mi si richiedesse di essere.
Sono nata nuda, ma figlia di una società corrosiva, che non ha perso tempo nel vestirmi, vergognosa com’ero, con abiti di marca che mi calzavano a pennello. Regina di quelle sfilate su una passerella immaginaria, accompagnata dall’ansia, fedele amica, che si alimentava di me, come un verme solitario, corrodendomi le viscere. Approfittando di una vita apparentemente perfetta, per gridarmi dentro, come un eco che proviene dal fondo di un precipizio, la nullità della mia esistenza.
Devo chiedere scusa a questa società, perchè non sono perfetta, vivo travolta dall’ansia, ma ora sono riuscita ad accettarla, e non mi nascondo più dietro a mille maschere di gomma.
Devo chiedere scusa a chiunque mi conosca o mi abbia conosciuta, perchè forse non sono stata perfetta, ho avuto delle mancanze, delle dimenticanze, e non sono stata all’altezza di ciò che ci si aspettava. Perchè la gente si aspetta sempre qualcosa da te. E io vorrei gridare al mondo che sono alta un metro e cinquantacinque, forse cinquantasei, e non sarò mai all’altezza di nulla, tanto meno delle ante del mio armadio.
Scrivo queste poche righe dedicandole a tutte quelle persone che vivono costantemente a braccetto con l‘ansia. Vorrei invitarle ad ascoltarsi, a continuare ad inciamparsi, a cadere, a sdraiarsi nei prati, e a macchiarsi la camicetta bianca di cioccolata.
Perchè sono le nostre imperfezioni, le nostre piccole follie quotidiane, il nostro essere lontane anni luce dalla perfezione, a renderci assolutamente perfette.
Vorrei dire a quelle persone che, come me, si fanno divorare dall’angoscia, che spesso l’ansia è un mostro che ci incute terrore, tanto terrore, così tanto che lottiamo affinchè se ne vada dalla nostra mente, gridiamo al vento che non la vogliamo, bramiamo la libertà con ogni fibra del nostro corpo, non la accettiamo. Ma questa battaglia interna non fa altro che generare altra adrenalina, alimentando il maledetto mostro.
Accettando come siamo, i nostri limiti, le nostre fragilità, non lasciamo voce all’ansia, le impediamo di prendere il controllo totale sul nostro corpo. Solo in questo modo, il mostro giurassico non potrà fare a meno che rintanarsi in quella fossa, localizzata tra la cassa toracica e lo stomaco,e dimagrire. Fino a scomparire.
Vorrei dire a tutte quelle persone ansiose, che l’ansia non va vomitata, va accettata, e lasciata riposare in un angolino del nostro essere.
Non saremo mai all’altezza di tutto, ma saremo solo ciò che sceglieremo di essere.
Io, dal canto mio, mi sono messa uno sgabellino a fianco dell’armadio, e sto annodando i miei capelli. E voi?