La chat di 70mila uomini su Telegram in cui ci si scambia consigli sullo stupro

70mila uomini su Telegram

Un’inchiesta condotta da un team di giornalisti in Germania ha rivelato l’esistenza di una serie di chat frequentate da oltre 70mila uomini su Telegram, in cui venivano scambiati consigli sui modi più efficaci e subdoli per stuprare le donne senza che queste potessero accorgersene. Una notizia che ci dimostra che la drammatica vicenda di Gisèle Pelicot non è un caso isolato.

Il 19 dicembre 2024 è stata emessa la condanna a vent’anni di carcere contro Dominique Pelicot, il settantenne francese accusato di aver sedato per dieci anni l’allora moglie con sostanze psicoattive e aver invitato uomini sconosciuti nella loro casa per violentarla. Il processo, svoltosi a porte aperte per volere della vittima, che intendeva mostrare al mondo, e non soltanto al tribunale, le crudeltà inflittele dal coniuge, ha visto coinvolti più di 50 imputati. Uomini di tutte le età e status, assoldati online da Pelicot, chiamati a rispondere dei video che li vedono partecipi degli abusi sulla donna drogata e addormentata.

L’organizzazione degli stupri all’interno delle chat su Telegram

Lo stupro di massa di Mazan ha scoperchiato un vaso di Pandora: le indagini dell’autorità giudiziaria sono risalite al sito utilizzato da Pelicot, attivo dal 2003, e più di recente le emittenti tedesche ARD e STRG_F hanno scoperto decine di chat della stessa fattispecie, utilizzate da più di 70mila uomini su Telegram per offrire e ricevere suggerimenti sulla strategia migliore per violentare le donne della propria sfera relazionale senza la loro consapevolezza.

All’interno di queste chat gli utenti si scambiavano informazioni sugli esercizi commerciali che fornivano farmaci stupefacenti senza autorizzazione e sui siti web dove acquistare sostanze vietate, per poi combinarle in maniera innovativa al fine di creare una sedazione così profonda da impedire alle vittime di svegliarsi durante l’abuso. Successivamente, condividevano foto delle donne addormentate, gioendo dell’efficacia.

Alcuni di questi uomini avrebbero utilizzato i sonniferi per violentare personalmente le proprie compagne, altri avrebbero agito come Pelicot, quindi cercato altri uomini da coinvolgere nell’illecito. Indipendentemente dall’intento, nel gruppo regnava una forte solidarietà, un’organizzazione efficiente e una partecipazione entusiasta alle dinamiche degli altri, creando una vera e propria logica di branco in cui i membri si proteggevano a vicenda e trovavano riconoscimento nell’approvazione reciproca.

Le donne all’interno di questo gruppo venivano trattate come merce, oggetti inanimati utili al solo scopo di sfogare il proprio desiderio di dominazione, trionfi da esibire in pubblico per suscitare l’ammirazione degli altri. Una dinamica che ricorda quella dei gruppi Telegram di Revenge Porn, scovati anche in Italia negli ultimi anni, in cui venivano diffusi contenuti sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, al fine di umiliarle, vendicarsi per una relazione finita o semplicemente provare una forma di godimento malsana.

Agire contro questi siti e forum non è sempre semplice: gli sviluppatori provano a correre più veloci delle forze dell’ordine, cambiando frequentemente il nome e il dominio del sito, per evitare di essere scoperti. Telegram, d’altra parte, protegge la privacy dei propri utenti grazie alla crittografia end-to-end, che permette solo al mittente e al destinatario di leggere il contenuto di un messaggio, ed è per questa ragione che il social network è il prediletto tra coloro che intendono commettere attività illegali.

A ottobre 2024 Telegram ha annunciato un cambiamento nella sua policy, affermando che avrebbe iniziato a comunicare i numeri di telefono e gli indirizzi IP dei soggetti sospettati di illecito alla polizia, tuttavia si tratta di una misura non sufficiente in quanto, in assenza della condivisione dello storico delle comunicazioni e dei file condivisi, risulta difficile identificare con certezza gli autori di reati.

Not all men, but too many men

Ciò che più colpisce del processo per gli stupri ai danni di Gisèle Pelicot è l’ordinarietà degli imputati. 50 uomini (sebbene si ipotizzi che il numero reale degli abusanti possa essere superiore a 80), di età compresa tra i 20 e i 70 anni, residenti nel raggio di 50 km dalla casa di Mazan, lavoratori, padri di famiglia, quasi tutti senza precedenti penali.

La BBC ha pubblicato l’elenco dei nomi, con accanto una breve descrizione delle loro vite personali. Simoné Mekenese ha 43 anni, ha sei figli e abitava vicino a Dominique e Gisèle. Quentin Hennebert ha 34 anni e lavora come autista sulle ambulanze. Joan Kawai ha 27 anni e si è recato a Mazan mentre sua moglie dava alla luce la loro figlia. Ludovick Blemeur ha 39 anni, è un ex vigile del fuoco e sua figlia era appena nata quando ha commesso gli abusi. Mathieu Dartus si è occupato da solo dei suoi bambini dopo la morte della moglie.

Storie che si discostano dall’immaginario comune dello stupratore: una persona sola, violenta nella vita, delinquente abituale, che cerca le proprie vittime in un vicolo buio della città. I condannati di questo processo, tornati a casa dopo aver abusato di una donna completamente incosciente, andavano a letto con le proprie mogli e davano il bacio della buonanotte ai figli.

La stessa “Banalità del male”, come direbbe Hannah Arendt, si ritrova negli utenti dei gruppi Telegram recentemente scoperti, e questo pone di fronte all’evidenza che il fenomeno della violenza di genere non può essere considerato un problema che riguarda solo pochi individui, ma un fenomeno dilagante nella società, che coinvolge tutti gli uomini a causa del modo in cui vengono socializzati. Lo slogan “Not all men”, con cui molti tentano di deresponsabilizzarsi, sostenendo di non poter mai commettere reati tanto crudeli quanto quelli elencati finora, distoglie l’attenzione dalla questione fondamentale: se si vuole porre fine al fenomeno degli stupri, qualcosa nella cultura e negli uomini che la abitano deve cambiare.

Rappresentare gli stupratori come orchi o bestie li deumanizza, facendoli apparire come entità estranee alla nostra società, cellule pazze all’interno di un sistema che, nel suo complesso, funziona correttamente, impedendo di riconoscere le cause sociali di un problema solo apparentemente individuale. Secondo i dati raccolti dall’Istat, in Italia le violenze più efferate vengono commesse per lo più da persone vicine alla vittima, piuttosto che da sconosciuti, dato che trova riscontro anche nelle statistiche di altri paesi. Il 63% degli stupri è commesso da partner, il 13% da famigliari o amici. Il “mostro” non si presenta sotto casa quando si esce la sera: lo si incontra nella comitiva di amici, sul posto di lavoro, nella propria stessa casa.

Per questa ragione non possiamo considerare lo stupro e il femminicidio come fenomeni a sé stanti, ma come la punta dell’iceberg di una cultura che reifica le soggettività femminilizzate, di cui tutti siamo partecipi. L’oppressione nasce dai piccoli gesti quotidiani, dalle battute sessiste, dal mansplaining, dal catcalling, dal consumo maniacale di contenuti pornografici aggressivi. Comportamenti che possono apparentemente sembrare innocui, ma che creano un terreno fertile per la proliferazione della violenza.

Introdurre l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole costituisce una valida opzione per tentare di scardinare la cultura dello stupro che permea la nostra società e insegnare il valore del consenso come superiore ai propri desideri egoistici. Ma, soprattutto, è fondamentale che non solo le vittime della violenza di genere, ma anche gli uomini – la categoria con maggiore probabilità di perpetrare tali comportamenti – diventino promotori di una cultura che sfida la mascolinità tossica e i pregiudizi legati ai corpi femminili. Invece di ancorarsi al “Not all men”, è essenziale dare spazio a un cambiamento profondo e duraturo della società.

Beatrice D’Auria

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