Totò, il principe della risata moriva il 15 Aprile del 1967. La maschera partenopea per eccellenza che ha dato voce all’Italia degli anni ’50.
Antonio De Curtis, in arte Totò , si spegneva a Roma 50 anni fa. Lo si descrive drammaturgo, poeta, cantante e paroliere ma Totò fu questo e molto altro di più.
Nato di umili origini, scoprì poi di essere prima che principe della risata, principe per davvero. Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfiro – genito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, il nome che prese in seguito quando scoprì di avere nobili origini da parte di padre.
La sua movenza sul palco, la smorfia caratteristica hanno fatto di Totò una sorta di marchio. Ha lavorato assiduamente, partendo dalle basi. Il teatro l’ha visto nascere e crescere insieme all’altro grande esempio della teatralità partenopea: Eduardo De Filippo.
Totò ha recitato in 97 film e lavorato per 42 registi diversi. Prima ancora ha calcato i palchi dei teatri recitando in 40 spettacoli e 12 opere di rivista. Totò però non fu solamente numeri.
Totò ha avuto il genio di trasmettere la napoletanità a tutta l’Italia del Dopoguerra. Una napoletanità comprensibile e allo stesso tempo fatta di risate amare. Risate che Totò diceva sempre difficili da suscitare. “E’ più difficile far ridere che far piangere“.
Una napoletanità presente nel linguaggio non solo verbale ma anche fisico. I frizzi e i lazzi di Totò passeranno alla storia e difficilmente saranno reinterpretabili. Il suo stile era unico e raro. Uno stile che celava un messaggio: la rappresentazione dei vizi e i dei mali dell’italiano medio.
La grandezza di Totò come attore comico era riconosciuta già quando era in vita. Meno il suo essere invece artista poliedrico. Il genio di Totò stava anche nel sapere interpretare ruoli diversi da quelli della comicità. Un esempio su tutti è il suo riscatto e la sua messa alla prova collaborando con Pasolini. In Uccellacci e uccellini e nelle due favole Che cosa sono le nuvole? e La Terra vista dalla Luna, vediamo un sorriso amaro, dolce, spento. Una maschera diversa e insolita di un Totò più maturo e carico di esperienza di vita. L’altra faccia di Totò, il personaggio ma anche l’uomo che fa ridere ma cela dietro di sè un enorme tristezza.
La Napoli di Totò non l’ha mai dimenticato per le sue commedie ma anche per la sua grande umanità. Gli furono addirittura dedicati tre funerali. Uno a Roma, dove morì la mattina del 15 aprile del 1967. Gli altri due a Napoli, la sua città. Il primo nella basilica del Carmine Maggiore, la cui salma fu abbracciata da migliaia di persone. Un bagno di folla per l’anima comica di Napoli. Il terzo e ultimo fu celebrato lì dove vide i natali Antonio De Curtis, nel Rione Sanità.
Il miracolo della fama, dato solo dopo la morte e Totò lo sapeva. Una vita di grandi sacrifici artistici e umani che lui racchiudeva in questa frase: « Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo Paese, in cui però per venire riconosciuti in qualcosa, bisogna morire. »
Laura Maiellaro