Il 24 aprile di 50 anni fa, nel 1967, il cosmonauta Vladimir Komarov morì nello schianto al suolo della sua Soyuz-1 al termine del rientro dallo spazio. Fu il primo incidente mortale durante un volo spaziale.
Komarov, che aveva già volato nello spazio con la Voskhod 1, era stato scelto per pilotare il nuovo veicolo spaziale dell’Unione Sovietica, la Soyuz. Ma il veicolo era stato realizzato in fretta, sotto la pressione dei politici che volevano un nuovo successo di propaganda spaziale: il 1967 era il cinquantenario della Rivoluzione Bolscevica ed era il decennale del lancio del primo satellite, lo Sputnik.
Il volo della Soyuz 1, partito dal cosmodromo di Baikonur il 23 aprile, era concepito come un’altra tappa trionfale della conquista sovietica del cosmo: un altro veicolo sovietico, con tre cosmonauti a bordo, avrebbe dovuto raggiungere Komarov in orbita, per poi effettuare un rendez-vous spettacolare. Ma un comunicato congiunto dell’agenzia di stampa TASS e di Radio Mosca annunciò concisamente che “Il cosmonauta Vladimir Komarov è deceduto durante il completamento del volo di collaudo del veicolo spaziale Soyuz 1”. Il lancio del secondo equipaggio, già annunciato, fu annullato.
I dettagli della tragedia furono resi noti in seguito, ma solo gradualmente, nell’arco di quasi trent’anni. All’inizio fu fatto credere che per la Soyuz 1 si fosse trattato soltanto di un difetto del paracadute di atterraggio, che non si era aperto correttamente e non aveva frenato la capsula, che quindi era precipitata a velocità elevatissima, uccidendo il cosmonauta all’impatto con il suolo in Kazakistan al termine di una missione eseguita senza problemi. Ma la realtà era ben diversa.
I guai al veicolo erano iniziati subito: uno dei due pannelli solari che alimentano la Soyuz-1 non si era aperto, dimezzando l’energia disponibile a bordo. Il pannello che non si era aperto aveva ostruito i sensori ottici necessari per conoscere l’assetto del veicolo, orientarlo e stabilizzarlo. Komarov aveva tentato di correggere il problema, ma il propellente di manovra rischiava di esaurirsi e le batterie non si caricavano a sufficienza.
Il Controllo Missione aveva deciso di far rientrare Komarov in anticipo, alla diciassettesima orbita, dopo un giorno nello spazio. Ma i sistemi di bordo non avevano collaborato, anche a causa dell’asimmetria inattesa della Soyuz – 1 (che aveva un pannello solare chiuso e uno aperto), e avevano interrotto la manovra di rientro avviata da Komarov. Da terra erano state inviate nuove istruzioni per ritentare il rientro alla diciannovesima orbita.
Anche il secondo tentativo di rientro aveva avuto problemi: l’asimmetria del veicolo lo aveva fatto deviare dalla traiettoria prevista e i sistemi automatici se ne erano accorti e avevano quindi interrotto l’accensione del motore di rientro.
L’effetto combinato delle due manovre parziali di rientro era stato comunque sufficiente a far ricadere il veicolo spaziale nell’atmosfera e i moduli della Soyuz-1 si erano separati correttamente, lasciando la capsula di discesa, contenente Komarov, libera di rientrare, usando lo scudo termico per frenare. Ma il paracadute pilota, che avrebbe dovuto estrarre quello principale, non lo aveva fatto. La Soyuz-1 era dotata di un paracadute di riserva, che era stato azionato ma si era ingarbugliato nei cavi del paracadute pilota, per cui la capsula era precipitata praticamente in caduta libera. È presumibile che Komarov abbia avuto il tempo di rendersi conto del malfunzionamento e della propria fine imminente.
Lo schianto al suolo era stato violentissimo: la capsula, alta circa due metri, si era ridotta a un ammasso metallico alto 70 centimetri e i razzi di frenata erano esplosi, distruggendo quel poco che restava. Di Komarov erano rimasti soltanto frammenti carbonizzati.
Le indagini sul disastro riveleranno che il sistema dei paracadute era intrinsecamente difettoso e non era mai stato collaudato nel suo complesso, e che anche il veicolo gemello, la Soyuz-2, aveva lo stesso difetto: se fosse stato lanciato, i suoi cosmonauti avrebbero fatto la fine di Komarov.
Passerà un anno e mezzo, fino a ottobre del 1968, prima che una Soyuz torni a volare nello spazio. La Soyuz, rimodernata e riprogettata, diventerà uno dei veicoli più affidabili e longevi della storia spaziale, con cinquant’anni di attività. Ma prima di arrivare a questo traguardo chiederà un altro tributo di sangue: la Soyuz-11, nel giugno del 1971.
Paolo Attivissimo