Come sottolineato da 415 accademici di spicco, rappresentanti sia delle comunità ebraiche che palestinesi, l’opinione pubblica internazionale non può più ignorare l’evidenza dell’ apartheid perpetrato da Israele. È essenziale affrontare con fermezza tali preoccupanti accuse e agire per garantire i diritti e l’uguaglianza di tutti i cittadini coinvolti, ponendo fine a qualsiasi forma di discriminazione.
TEL AVIV – Una lettera aperta, sottoscritta da oltre 400 accademici e personalità pubbliche di spicco provenienti da Israele, Palestina e dalla comunità ebraica, ha evidenziato un “collegamento diretto” tra la riforma giudiziaria in corso da parte del governo israeliano e l’occupazione dei Territori palestinesi. Questo appello, che spinge verso un’azione concreta, invita la comunità ebraica negli Stati Uniti a rompere il “silenzio” e a impegnarsi in un dialogo significativo.
La lettera, affrontando la dibattuta riforma giudiziaria, afferma che l’obiettivo di questa proposta sembra essere quello di “rafforzare le restrizioni su Gaza, privare i palestinesi di pari diritti sia all’interno che oltre la Linea Verde, annettere ulteriori terre e condurre una pulizia etnica di tutte le regioni abitate dalla popolazione palestinese sotto il controllo israeliano“.
Mettendo in risalto l’importanza critica dei diritti umani come baluardo contro l’instaurarsi di una dittatura, la lettera sottolinea che, a prescindere dal contesto politico – che sia uno Stato, due Stati o altre ipotesi – i diritti umani per tutti i cittadini devono essere preservati.
“Senza diritti uguali per tutti, che si tratti di uno Stato, due Stati o qualsiasi altro assetto politico, permane sempre il rischio di una dittatura“, afferma la lettera. Inoltre, denunciando l’attuale “regime d’Apartheid” di Israele, la missiva dichiara che i palestinesi sono stati la “questione irrisolta” nel contesto delle proteste che si sono protratte per più di sette mesi.
“Il popolo palestinese è privato di quasi tutti i diritti fondamentali, inclusi il diritto di voto e di protesta. Affronta una costante violenza: solo quest’anno, le forze israeliane hanno ucciso oltre 190 palestinesi in Cisgiordania e Gaza e hanno demolito più di 590 strutture. I coloni compiono incendi, saccheggi e omicidi con impunità“, afferma la lettera. L’ultimo violento episodio nei Territori occupati della Cisgiordania è stato l’uccisione di un giovane palestinese di 19 anni per mano di un terrorista israeliano.
Tra i firmatari spiccano leader di fondazioni, studiosi, rabbini ed educatori che invocano un’azione significativa. Incoraggiano il sostegno al movimento di protesta in corso in Israele, sottolineando l’importanza dell’uguaglianza per ebrei e palestinesi, sia all’interno che oltre la Linea Verde, nonché nei Territori Palestinesi Occupati (TPO). Inoltre, promuovono il sostegno alle organizzazioni per i diritti umani e la diffusione del loro lavoro nelle comunità, insieme all’approvazione di programmi educativi che offrano un’analisi obiettiva del contesto storico e contemporaneo di Israele.
Tra i firmatari di rilievo, oltre 100 accademici affiliati alle università israeliane, tra cui figure di spicco come l’ex-capo dell’Agenzia Ebraica e membro della Knesset Avraham Burg. Nel 2021, l’ex-portavoce della Knesset aveva dichiarato che Israele ha poco a che fare con l’essenza dell’ebraismo.
Burg ha affermato che lo Stato ebraico è un ossimoro, spiegando che uno Stato è uno strumento nelle mani delle persone e non può avere un’essenza ebraica o di qualsiasi altra religione. Comunità e cultura possono essere ebraiche’, ma non appena si attribuisce a uno Stato un’essenza ebraica, una dimensione religiosa, esso non può più essere una democrazia appartenente al suo popolo.
La lettera esorta, inoltre, la comunità ebraica a spingere i propri rappresentanti a lavorare per porre fine all’occupazione e a limitare l’assistenza militare utilizzata nei Territori Palestinesi Occupati. Chiede inoltre di porre fine all’impunità israeliana nei confronti delle organizzazioni internazionali, inclusa l’ONU.